CAPITOLO 3
"Schiavenin"
Risalimmo la strada verso casa, al passo.
Si stava peraltro facendo buio in valle. Io ero abituato ormai all'atmosfera
che si perdeva attorno a noi, dipingendo un luogo fermo, silenzioso,
immensamente quieto.
Passammo davanti all'ostello, tristemente chiuso, benche' rinnovato ed agibile.
Uno stabile che era adibito a scuola fino ai primi anni ottanta, per poi essere
relegato ad ambulatorio medico ed infine, appunto, ad ostello. Il suo essere
disabitato quasi costantemente, rendeva l'idea di un luogo chiuso, ancora piu' recondito di
quanto la realta' gia' non raccontasse.
Nel guardarci , senza peraltro parlare, io e Giovanni ci sentivamo parte di una
riemersione di questo luogo, tanto bello, quanto sempre piu' ristretto a gente
come noi, mescolata ai valligiani, senza peraltro sentirsi accettati fino in
fondo. Di questo avevo gia' parlato in passato, la gente ti schiva, vuol'essere
sicura di poter fidarsi, giacche' , rimasti in pochi, i locali tendono a
conservare ogni cosa senza il rischio di interferenze straniere dominanti. Si
faccia molta attenzione al concetto, che non parla di cattiva accoglienza,
anzi, nel momento della festa d'assieme, come diverse se ne fanno in zona, la
generosita' regna sovrana e l'ospitalita' e' ben conosciuta come valore, da
queste poplazioni con derivazione barbara. Ebbene si', barbara, poiche' e'
certo che queste terre furono meta di attraversamento ed invero anche di
saccheggio, da parte degli Unni, nientemeno che di Attila , "il flagello
di Dio".
Il rientro si era fatto molto lungo e lento, quasi il doppio del tempo
necessario, tra una chiacchiera e l'altra.
Questo veneziano della terra ferma era proprio un tipo simpatico.
Nei momenti in cui si taceva , respiravo un'aria amichevole, rasserenata dalla
percezione di aver trovato un nuovo amico con cui dividere momenti belli, in
una fase della vita, che mai come ora avevo cercato, trovato ed iniziavo ad
apprezzare in tutta la sua semplicita'. Mentre lo pensavo, puntavo gli occhi
verso il pendio.
Guardare le case inerpicate sul colle, dal basso della val di Prada, con
l'oscurita' imminente, proprio nell'attimo in cui il sole ed il cielo fondevano
i loro colori in una sfumatura quasi violacea, non aveva prezzo.
Quando arrivai sulla soglia di casa era buio fitto, salutai Giovanni
invitandolo la sera stessa per un dopocena di benvenuto.
E infatti l'invito fu accolto e passammo una serata in compagnia. Fu
l'occasione per riunire tre famiglie "foreste" , lassu' quasi sulla
cima abitata della val di Prada.
Cenammo con della semplice italianissima pasta fatta in casa dalla "sora
Assunta" e condimmo il tutto finendo con dell'ottimo prosecco di
Valdobbiadene asciugato da dei bignè alla crema, arrivati direttamente dal
forno di casa nostra, riempiti con panna montata a mano dalla mia Gian. E i due
nuovi? Forse un poco spaesati, ma era normale che lo fossero, tanto poco era
passato da che erano arrivati.
Quella sera nacque una idea, che avrebbe coinvolto tutti, ritornare in un luogo
incantevole, storico e mitico, come il Grappa, il monte, in primavera, correndo
o camminando, partendo e tornando in Alano, dalla fontana davanti la pizzeria
di Ezio.
Giovanni e Donatella non erano mai stati in quel luogo di illibagioni e
racconti, scherzi ed appisolamenti, lì dove la pizza è una gioia per le papille
gustative e dove le chiacchiere scorrono come un fiume calmo e disteso.
Sì, un passo alla volta questi nuovi amici sarebbero stati, volenti o no,
coinvolti nelle nostre vite libere... nuove e libere.
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