lunedì 9 dicembre 2013

VenanzioCorreAncora-capitolo3-

CAPITOLO 3



"Schiavenin"


Foto di Placido Mondin


Risalimmo la strada verso casa, al passo.
Si stava peraltro facendo buio in valle. Io ero abituato ormai all'atmosfera che si perdeva attorno a noi, dipingendo un luogo fermo, silenzioso, immensamente quieto.
Passammo davanti all'ostello, tristemente chiuso, benche' rinnovato ed agibile. Uno stabile che era adibito a scuola fino ai primi anni ottanta, per poi essere relegato ad ambulatorio medico ed infine, appunto, ad ostello. Il suo essere disabitato quasi costantemente, rendeva l'idea di un luogo chiuso, ancora piu' recondito di quanto la realta' gia' non raccontasse. Nel guardarci , senza peraltro parlare, io e Giovanni ci sentivamo parte di una riemersione di questo luogo, tanto bello, quanto sempre piu' ristretto a gente come noi, mescolata ai valligiani, senza peraltro sentirsi accettati fino in fondo. Di questo avevo gia' parlato in passato, la gente ti schiva, vuol'essere sicura di poter fidarsi, giacche' , rimasti in pochi, i locali tendono a conservare ogni cosa senza il rischio di interferenze straniere dominanti. Si faccia molta attenzione al concetto, che non parla di cattiva accoglienza, anzi, nel momento della festa d'assieme, come diverse se ne fanno in zona, la generosita' regna sovrana e l'ospitalita' e' ben conosciuta come valore, da queste poplazioni con derivazione barbara. Ebbene si', barbara, poiche' e' certo che queste terre furono meta di attraversamento ed invero anche di saccheggio, da parte degli Unni, nientemeno che di Attila , "il flagello di Dio".
Il rientro si era fatto molto lungo e lento, quasi il doppio del tempo necessario, tra una chiacchiera e l'altra.
Questo veneziano della terra ferma era proprio un tipo simpatico. Nei momenti in cui si taceva , respiravo un'aria amichevole, rasserenata dalla percezione di aver trovato un nuovo amico con cui dividere momenti belli, in una fase della vita, che mai come ora avevo cercato, trovato ed iniziavo ad apprezzare in tutta la sua semplicita'. Mentre lo pensavo, puntavo gli occhi verso il pendio.
Guardare le case inerpicate sul colle, dal basso della val di Prada, con l'oscurita' imminente, proprio nell'attimo in cui il sole ed il cielo fondevano i loro colori in una sfumatura quasi violacea, non aveva prezzo.
Quando arrivai sulla soglia di casa era buio fitto, salutai Giovanni invitandolo la sera stessa per un dopocena di benvenuto.
E infatti l'invito fu accolto e passammo una serata in compagnia. Fu l'occasione per riunire tre famiglie "foreste" , lassu' quasi sulla cima abitata della val di Prada.
Cenammo con della semplice italianissima pasta fatta in casa dalla "sora Assunta" e condimmo il tutto finendo con dell'ottimo prosecco di Valdobbiadene asciugato da dei bignè alla crema, arrivati direttamente dal forno di casa nostra, riempiti con panna montata a mano dalla mia Gian. E i due nuovi? Forse un poco spaesati, ma era normale che lo fossero, tanto poco era passato da che erano arrivati.
Quella sera nacque una idea, che avrebbe coinvolto tutti, ritornare in un luogo incantevole, storico e mitico, come il Grappa, il monte, in primavera, correndo o camminando, partendo e tornando in Alano, dalla fontana davanti la pizzeria di Ezio.
Giovanni e Donatella non erano mai stati in quel luogo di illibagioni e racconti, scherzi ed appisolamenti, lì dove la pizza è una gioia per le papille gustative e dove le chiacchiere scorrono come un fiume calmo e disteso.
Sì, un passo alla volta questi nuovi amici sarebbero stati, volenti o no, coinvolti nelle nostre vite libere... nuove e libere.

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