CAPITOLO 10
Quattro
e un quarto
Il mattino tardava ad arrivare e la Gian sentendomi dimenare tra le lenzuola
felpate, incapaci di cullarmi tanto da ridarmi un sonno tranquillo, mi disse
che poco prima, alzandosi, aveva trovato la Bice in salone, pronta ad uscire in
allenamento.
Forse preoccupata dall'idea dell'amica in giro sola col buio e probabilmente concentrata
sul trovar modo di tranquillizzare me, mi propose di alzarci e seguirla.
La guardai e la vidi molto stanca cosi' le dissi di rimanersene sotto le
coperte che con la Bice sarei andato io solo.
Guardai il grande orologio a pendolo, in legno di frassino, che dominava
l'angolo di destra della stanza da letto, il quale , con la porta socchiusa da
dove filtrava la luce tenue della luna, che si intrometteva dal grande
lucernario dell'antro della scala, proiettava sul pavimento e sino ai piedi del
lettone matrimoniale, un ombra trapezoidale che si restringeva fino a
scomparire sotto il grande baldacchino. D'ora faceva le quattro...
Mi tirai su silenziosamente e scesi. Bice era pronta ad uscire, le feci cenno
che sarei andato anch'io e mi attese con aria compiaciuta, adagiandosi sulla
prima poltrona a portata di natiche.
Uscimmo di casa che eran le quattro e un quarto, me lo ricordo perche' stabilii
che non avremmo corso piu' di due ore, fino al sorgere del primo sole.
Mi disse che saremmo andati con l'Alpine e in un attimo il roboante frastuono
della datata sportiva francese, pervase la vallata dirigendosi verso il basso.
La nostra destinazione, decisa al momento, prevedeva d'essere di partenza a
Campo, ma giunti la' , ci venne voglia d'altura e quindi risalimmo il
"passo" del Monte Tomba.
Il punto di partenza era malga Doc e li' finalmente parcheggiammo. Tutto
intorno una visione circolare fatta di monti, insenature e distese pianeggianti
che all'orizzonte, una volta che l'alba avrebbe lasciato spazio al giorno, ci
avrebbero regalato tenui ma visibili barlumi d'Adriatico.
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