giovedì 30 gennaio 2014

VenanzioCorreAncora-capitolo36-

CAPITOLO 36

Un soldato di vedetta

Foto di ArGo
Il ponte era li' , in fondo alla discesa, poco dopo gli ultimi tornanti su un sentiero divenuto  comodo.
Una decina di metri , in basso, una piccola cascata che si getta in un bacino modesto ma limpido e profondo. Guardarlo dava un senso di disequilibrio che spingeva a non sporgersi, troppo oltre la balaustra di ferro vecchio.
Guardavo Argo che osservava Sonia, quasi volesse  accertarsi che fosse in forze ...ed era cosi'. Partita con la consapevolezza d'una sfida a se stessa, taceva, introspetta nello sguardo sereno, che poteva sembrare assente.
Un goccio di caffe' caldo, un cioccolatino e poi la piana verso Balzan.
Tutti estremamente tranquilli, la deviazione obbligata , che avrebbe allungato il giro, non aveva minato lo spirito. Solo il capogruppo, si notava bene, avrebbe preferito fare "il Rommel". Ma cosi' fu e cosi' doveva essere, secondo destino.
In ascesa il gruppo avanzo' ad elastico, ognuno col suo passo e tornante dopo tornante la quota s'alzava.
Luce che filtrava tra i rami, d'una luminosita' accecante e profili di montagne intraviste in mezzo a quel puzzle creato dal bosco.
Poi il cambio di versante e la Val di Prada a vista, messa li' da una mano sapiente a riempire uno spazio verde, fortemente inclinato, tra montagne impervie e sfumature nebbiose incombenti sulle cime.
Una vetta Dolomitica compariva ad est, bianca, maestosa, irridente nel sovrastar d'imponenza la coltre grigia, distesa a tappeto fitto ma incapace di guadagnar la quota di cappa e sconfitta dal chiaror della neve in roccia, affascinante attrazione che catturava gli sguardi.
Poi, d'improvviso lui, gia' visto e ancora la' , l'alpino di latta di Madal, opera sopraffina di Giovanni e Gianantonio Buttol, artisti locali , che a misura d'uomo con perizia doviziosa , hanno eretto una statua di scaglie di bombe e detriti bellici e piu' recentemente il compagno aquilotto, al fianco del milite di vedetta.
Sotto la bandiera tricolore, poggiati alla staccionata in legno, sguardi persi nell'immenso catturavano quella vetta bianca, iniziando ad mare la deviazione che tradi' il Rommel ma saluto' il soldato italico.

Egli e' li', fermo a guardare, sull'attenti perpetuo a ricordar che di la' , transito' la storia d'una fetta di liberta' contemporanea.

mercoledì 29 gennaio 2014

VenanzioCorreAncora-capitolo35-

CAPITOLO 35

L'alba della salamandra


Foto di ArGo
Mestamente , tornar sui nostri passi non fu entusiasmante, ma d'altra parte non c'era scelta.
Alla "casa della strega" riprendemmo a ritroso la via della forcella.
Mano a mano , o meglio passo a passo che risalivamo, dalla piana si apriva un chiarore giallo ocra, sempre piu' tinto di toni caldi, fino a formare i colori dell'alba.
Ben presto fummo al grande masso caduto di recente sul sentiero , appena sotto la  casa enorme del leggendario Franz. A distanza di poco tempo rifacevo lo stesso pensiero. Chissa' che "roboare" aveva prodotto quella palla irregolare pesantissima, rotolando a balzi paurosi dalle pareti rocciose al bosco?
Per scendere al Pont de la Stua , l'unica soluzione era il sentiero meno battuto, peraltro unico a portare al ponte e via di salvezza quando il torrente e' in piena e guadarlo a monte non si puo'.
In effetti chiamarlo sentiero e' come fare un complimento a quella via grezza.
Irto, scosceso, "mosaicato" con sassi sparsi e semoventi, pronti a far dispetto al viandante poco esperto o disattento.
L'alluvione recente lo aveva poi peggiorato, ma a dire il vero anche inselvatichito con fontanoni che formano piccole cascatelle e scivoli d'acqua su lastroni di pietra grigia.
Muschi pregni d'umidita' ed una salamandra adulta , beata, che vorrebbe osservare, ma non puo' che percepire ombre e movenze intruse.
Melodie tutt'intorno, che l'acqua compone, quasi a solfeggiare sonorita' musicoterapiche.

Gli uomini non parlano. Tutto intorno solo silenzi interrotti da magie della natura.

sabato 4 gennaio 2014

VenanzioCorreAncora-capitolo34-

CAPITOLO 34

La furia delle acque

Foto di ArGo
E' solo qualche metro ma ti dà la sensazione di essere davanti ad un colle dietro al quale si nasconda chissà qual tesoro. 
Scavalco la china e mi affaccio al torrente da guadare. C'è piu' acqua del solito ed anche quì il greto è cambiato, par d'essere in un altro luogo, sconosciuto. 
Il buio non aiuta a capire. Attende che tutti oltrepassino, la guida è inquieta, deve comunicare qualcosa.
<Di quà non si passa>.
Si è dunque avverata la sensazione della presenza di quel tesoro nascosto, ma la sorpresa non è delle migliori.
Cerca di trovare un guado, perchè l'acqua scende vorticosa ed alta sul fondale. Salta su grossi massi, dei quali rimane scoperto solo qualche viscido ed esiguo lembo di dorso.
Cerca una via verso molte, laddove una piccola cascata fa presagire che piu' su ci sia un bacino piu' ampio. E' così.
Aggrappato alle ramaglie, scende anche verso fondovalle, scomparendo dietro ad un grosso masso. Lo seguo e lo vedo lì ad osservare la roccia al di là del guado, che è un canale in discesa dove l'acqua sarà profonda un metro ed accelera la sua corsa. La parete rocciosa non lascia possibilità di sperare. Anche trovando un punto stretto, l'altro lato della valle è un muro.
Traguardo verso nord il rivolo che ora, ingrossato e divenuto torrente,  scende nervosamente tra le "crode". Una ventina di metri piu' addentrato in valle, il corso d'acqua salta giu' di masso in masso. 
Una  cascata, così trasparente e fluida. Le scatto una foto cercando di catturarne l'anima, ma è buio e me ne rimarrà solo il ricordo. Vorrei essere dall'altra parte della valle e poter dire d'aver iniziato a risalire la Val Mer. Siamo a quota 270 e so che si dovrebbe arrivare a 1037 metri d'altitudine. 
Chissà quanto ci si impiega e chissà quante cose avrei visto? Nuove certamente poichè la montagna non è mai banale. 
Il tratto che scorgo nell'oscurità taglia alcuni dei tornanti originali che compongono il sentiero Rommel.
Si notano quì e là mucchietti di sassi ammassati l'uno sull'altro, ora abbracciati da muschio selvatico.
All'occhio attento non sfuggono e danno il senso della risalita dolce, che fini tracciatori pensarono all'inizio del ventesimo secolo, per dare una via di percorrenza a questa insenatura spersa negli antri infernali del canyon del Mondo Stret.
Ogni sentiero di montagna deve la sua vita al viandante e se quest'ultimo ha fastidio a calpestarlo, in pratica è complice della scomparsa di quel camminamento primordiale. Oggi saremmo dovuti essere d'aiuto alla novella vitalità del sentiero Rommel, ma invece...

VenanzioCorreAncora-capitolo33-

CAPITOLO 33

Il Rio piccolo

Foto di ArGo
Sul sottile strato bianco di neve rimasta, non posso non notare orme fresche di scarpone, ben marcate, il che mi fa pensare a qualche cacciatore di frodo oppure ad escursionisti con zaini sovraccarichi. Cataste di legname , non eccessivamente di grosse dimensioni. Probabilmente i proprietari hanno raccolto quel poco che la furia delle acque ha lasciato nei dintorni ed ora attendono di trovare un varco per tornare a caricarle.
Il primo tratto, che pensavo intriso dagli alberi, è ora praticamente a ridosso degli ultimi massi di confine, tra l'alveo del Calcino e il margine del sentiero o di ciò che ne rimane.
Spediti, proseguiamo! 

Ascolto l'aria che quasi impercettibile sibila tra orecchio e fascia di lana nera...Ho indossato la fascia al collo, quella che a vedermi vestito di verde marines, mi fa sembrare a distanza , davvero un soldatino. 
Lo sa il cielo qual brutto rapporto io abbia con quel mondo fatto di gerarchia pura. 
Eppure vesto spesso così, quasi fosse un atto di sfida personale che punti al contrasto forte tra l'apparire e l'essere.
Sono sulla irta che precede quello che io chiamo il "Rio piccolo" del "Mondo Stret".
Attendo l'accodarsi di tutti gli elementi. Tutti hanno superato il piccolo guado alla sorgente, laddove un piccolo acquedotto in cemento lascia sgorgare qualcosa che è piu' d'un rivolo, un piccolo torrentello, sul quale qualcuno avrà certamente posato le suole delle scarpe.
Non è il momento di pensare. Argo mi si avvicina ed a bassa voce mi dice:
< Il rumore che fa il Calcino non promette bene. Credo che al di là della rupe avremo una sorpresa >.

VenanzioCorreAncora-capitolo32-


CAPITOLO 32

Solchi ampi, come fosse comuni


Foto di ArGo
Dopo qualche minuto, o forse secondi (il tempo è così indefinito quando è immerso tra una serie di passi), sono sotto ad una parete di roccia, attrezzata per gli arrampicatori. 
Non c'è nessuno oggi...A novembre dello scorso anno la strada per raggiungere Pont de la Stua era chiusa, inagibile, pericolante , dopo la furiosa potenza delle acque che hanno scavato i pendii che la sorreggono. 
Me ne rendo conto quando arrivo alla "casa della strega", alla fine del sentiero, impropriamente detto "Rommel"...

Il paesaggio è desolatamente mutato dall'ultima volta che ci sono stato. Forse lo sapevo fin dal primo momento che siamo partiti, che avrei trovato sul mio cammino alcune cicatrici profonde ed ora che le ho davanti agli occhi ne ho drastica conferma. 
Mi fa un male cane vedere che il bosco è stato completamente divelto dal placido torrente che s'è fatto cannibale ed ha divorato le piante, lasciando solchi ampi come fosse comuni, ora completamente senz'acqua. 
Solo sassi, neve, ghiaccio e ancora sassi, alcuni pesanti tonnellate...E mentre sono in equilibrio sul muretto dell'acquedotto, dopo aver percorso un tratto di bosco, non tracciato, dove non v'è piu' sentiero alcuno, mi accorgo che il cemento stesso che ho sotto i piedi non ha retto alla cattiveria furiosa degli eventi recenti...
Mio Dio che pietà provo per quella mia parte di vita, martoriata e sofferente...Ma non doma. 
Ascolto la nostra guida che dice che il sentiero vive se noi l'aiutiamo a riavere e tenere una forma dignitosa. 
Penso, tra me e me, che anche chi di dovere , dovrà dimostrare d'avere a cuore questa terra, oppure "domani l'altro", il dopo domani di chi parla italiano corretto , avrà a che spartir parola anche con me. Mentre io penso, sento pronunciare le stesse parole. <Lo ho fatto ancora per la mia terra. Lo rifarò se vedrò negligenza>.
Quell'uomo ragazzo abbassa la testa e per un attimo tace, poi sospira e fiero riparte.

VenanzioCorreAncora-capitolo31-


CAPITOLO 31

La ferita nella montagna


Foto di ArGo
L'acqua ha scavato in profondità, l'irta estrema dopo la distesa di pini. Il ciglio e' ridotto al minimo in certi tratti di via, ma è compatto e gli si si cammina sopra, per non rischiare di storcer le caviglie ci si aggrappa ai rami degli alberi bassi, che sono sul limitar dal bosco a far da contenimento, tra noi e la rupe sottostante.

Scendo, ricordando le parole d'un amico alanese  che mi parlava, giusto qualche tempo prima, di una frana che aveva spezzato il sentiero, creando un vuoto su un passaggio di un piccolo "vallicello" , percorso in discesa da una vena risorgiva, scarsa ma costante in ogni periodo.
Ci arriviamo presto, forse prima del normale, poichè è molta la curiosità di visionare quella ferita, che pur non sanguinando sarà un pò mia. Il sentiero non c'è piu', inghiottito da uno strato ci creta melmosa e di sassi portati giu' dal torrente alluvionale improvvisato. Ora è posto piu' in alto, proprio alla base d'una roccia fondale , sulla quale scorre limpidissima l'acqua selvatica della pura montagna, non battuta, estesa verso l'alto in un contorcersi di roccia e cengie.
Bisognava saltar giu' di un metro e mezzo e risalir la china, facendosi aiutare dalla spinta di braccia sui bastoni, così mi raccontò, ma ora la mano dell'uomo , volontariamente ha battuto una nuova pista rialzata. I trevigiani di Falzè ammirano il candore dei sassi su cui, limpida, "slalomeggia" l'acqua risorgiva. 
Mi soffermo qualche istante e penso a chì con piccozza e badile e hi è stato lì a creare quel passaggio novello che facilita il passaggio ai viandanti meno aitanti, che avrebbero dovuto balzare altrimenti, di roccia in roccia.

venerdì 3 gennaio 2014

VenanzioCorreAncora-capitolo30-

CAPITOLO 30

La Claudia Augusta, l'Aurelia o semplice 

acciottolato

Foto di Placido Mondin
L'alluvione inizia a farsi vedere davanti a me, di tanto in tanto, con gli effetti che si è lasciata dietro. 
Tratti di sentiero che sono vistosamente rovinati ed ora attraversati da piccoli solchi. 
Ora il terreno si fa piu' morbido, appena superato il tratto decisamente deturpato dai crossisti, che ne abusano ed hanno solcato 
profondamente una decina di metri di via in pendente discesa, a tal punto che sul fondo mosso appaiono le radici sospese di qualche albero. Qualche secondo al passo tra i pini ed un molleggiare tipico dei tratti di bosco in pineta, sui quali il passo si fa piu' elastico  , modellato quasi, dagli aghi rinsecchiti che formano un soffice letto.
Sono tra due muri. Esattamente tra il fienile e la stalletta del borgo San Daniele. Oggi , distrattamente, non mi sono fermato ad osservare la parete superstite della chiesa...Gli altri lo faranno? Sono davanti a tutti, chissà come avrò fatto? 
Quasi pentito mi blocco! 
Faccio per ritornar sui miei passi, ma poi penso che se il fato ha voluto così, un motivo ci deve essere. Il fato, che citazione esagerata, ma ormai è fatta...rimanga scritta.
Osservo che sulla neve fresca non c'è alcuna orma e quindi da un paio di giorni nessuno è passato di quà. 
Faccio una foto all'acciottolato romano, che forma la via larga in leggera pendenzae e poi giro bruscamente a destra . Prendo il sentiero che va al Pont de La Stua...Sono autonomo, ma poco educato. Mi fermo ad aspettare il gruppo. Mentre penso a fermarmi però...
Perdo l'appoggio e vado a terra , praticamente in spaccata, scivolando sul melmoso viottolo. Non poggio null'altro che il polpaccio destro, facendo leva e presa sui bastoncini ed il colpo di reni con spallata energica mi riporta ritto e in cammino.
Nessuno fiata , è ancora silenziosamente mattino, sono le sei.
Un gallo forse sta cantando nella campagna, ma noi non sentiamo nulla d'altro che la musica che un rivolo suona scendendo un dirupo.

VenanzioCorreAncora-capitolo29-

CAPITOLO 29


La strada nella roccia


Foto di Placido Mondin
Sale, costantemente sale ed il verde selvatico è intensamente intriso di un profumo che non distinguo, se non nell'umidità odorosa che invade l'aria e mi inebria, trascinandomi su, quasi attirato da un naturale pifferaio magico.
ArGo parla e inizio a comprendere un pò quell'uomo , un pò ragazzo ed un poco vecchio, con le rughe che scavano sotto le palpebre e la voce roca. Ogni singola curva pare essergli familiare, ogni roccia da scavalcare sembra parte della sua vita di camminatore e presto gli elementi a lui noti ci accompagnano alla forcella e ci fanno partecipi d'un luogo che ha qualcosa di fiabesco. 
Vedo il crocevia segnato sul paletto in legno che si erge in alto , laddove il mio sguardo si posa, cercando di catturare i lumi dell'ultima luna penetrante , che supera la barriera delle  fronde degli alberi del bosco.
Vorrei fermarmi un pò ed aggirare il cono di vetta, per guardare il paesaggio della valle aspra del Calcino, ma non posso perdere il ritmo, giacchè ora inizierà la discesa e la muscolatura è pronta per non contrarsi al cambio  immediato  di pendenza. Sono ancora l'ultimo della fila, mi perdo in continuazione tra i miei pensieri sognanti.
Sono in una sorta di canalone, strano a dir il vero, giacchè pavimentato sulla roccia viva e contornato di muschi ed erbe morbide. Il fondo è bagnato, scivoloso, sconnesso ma bello, emozionante come un gioco in aspra montagna. Il fondo si vede appena e m'accorgo solo immergendo di netto una scarpa, la destra, che la roccia ha creato in se invasi d'acqua che ora sono pieni. Accelero il passo e utilizzo la diagonale, una tecnica della camminata nordica, così come si fa nelle discese, in corsa dalla montagna, con i bastoncini che non spingono ma fanno da ritentori. Puntano sempre piegati verso dietro, per non essere da intralcio o peggio da dispettosi "sgambettatori"...
Mio Dio come mi sento libero d'andare, solo pur tra la gente, quella che è la migliore che oggi potessi avere al fianco.

Attendo con lo sguardo che Sonia scavalchi quel masso. Mezzo metro che conduce ad un sentiero che pare piu' facile...Pare...

VenanzioCorreAncora-capitolo28-

CAPITOLO 28

Le tre case diroccate


Foto di ArGo
Tre case di cui una distrutta e due diroccate.
La prima è parzialmente integra, manca il tetto ma il primo piano ha ancora il solaio che funge da protezione al viandante che volesse rischiare d'entrarci per ripararsi dall'eventuale pioggia. 
L'ultima, che precede una pozza per abbeverare le bestie che un tempo venivano allevate in questo luogo scordato dai Demoni e da Dio. Ha il sottotetto cuspideo, eretto a sassi ed a secco, prova d'estrema abilità architettonica di poveri Cristi le cui opere hanno sfidato e vinto il tempo ed il bosco. Lo ho visto ormai piu' volte ma ad ogni allenamento mi ci fermo e controllo...Cosa controlli non saprei di preciso, ma mi rallegro di rivederlo ancora resistere.
Anche Giacomo si ferma e storce il naso ascoltando la spiegazione di Argo, che evidentemente non lo convince.
Nel mezzo, la seconda struttura è diventata la casa d'un carpino, che beato cresce , incurante di demolirne le fondamenta con le radici ampie e la muratura con le braccia articolate e fitte, detti rami...ma a me paion braccia. 
Procedo ancora ed inizio il toboga che si immette tra il fogliame. Una frana ha buttato giu' il sentiero e si passa proprio sul ciglio della stessa, in fianco di suola...
Faccio attenzione e tasto prima con i bastoncini. Il buco non è profondissimo, ma caderci sarebbe pur sempre peggio che guardarlo dall'alto. 
Sento rumor di passi e salti e non mi ci vuol molto a capire che siano...Che cosa siano. I caprioli, un gruppo di quattro, forse una famigliola intera. Zompettano in alto nel bosco ed io non so esser rapido fotografo...Fuggono rapendomi lo sguardo. 
Nessun'altro se ne accorge ed io taccio, parlare servirebbe solo a crear vociare che disturba il bosco.

mercoledì 1 gennaio 2014

VenanzioCorreAncora-capitolo27-

CAPITOLO 27

"Troi dei todeschi"

Foto di Placido Mondin
Vispi cambi di direzione, il mulinar dei bastoncini, la mano che si apre dietro e si richiude spingendo con forza, avviluppata all'impugnatura. Nello zaino sobbalzano le borracce ed io so che quando aprirò quella con la bevanda gassata, potrebbe essere un tripudio di schiuma appiccicosa tra le mani. Non me ne curo, ora non è tempo, stiamo per arrivare al bivio tanto caro del Troi dei Todeschi , quello che conduce alla Forcella di San Daniele. Argo ci avverte qualche decina di metri prima. Quanti ricordi, fatiche, soddisfazioni legate a questi luoghi. La Campo-San Daniele-Campo. 
Mi rimangono impresse alcune parole della nostra guida, che faccio mie: <Rifuggo dal pensare cupo, che mi porta al confronto mentale con chi forse non potrà mai capire il legame tanto forte tra me e questi luoghi...>
In effetti io comincio a capire perchè mi batte forte il cuore, ripensando al dì in cui io e Giacomo ci sfidammo in quella corsa. Molto piu' di un percorso per scarpe tecniche scalpitanti e tanto piu' di un volgere l'obiettivo ad una festa di sport...
Vado oltre e non abbasso il ritmo, sono in coda e non voglio farmi attendere. Già ho fatto tante, troppe soste brevi a scattare foto che il buio non permetterà di apprezzare, ma saranno comunque un mio ricordo. In breve raggiungo la rampa al trentancinque per cento che, sia pur per pochi metri, affaccia il viandante al borgo Fobba.
Nessuno si lamenta, mentre si sale a pié di traverso, fino a superare quella ventina di metri che giunge in fronte ad un grosso e solitario pino.

VenanzioCorreAncora-capitolo26-

CAPITOLO 26


Ospiti silenziosi, nel bosco





Foto di Placido Mondin
Il sentiero avanza dritto tra la boscaglia ed è stato ripulito dal laborioso autunno che poi s'è fatto inverno. Superiamo la prima cengia di giornata, nessuno lo percepisce ed è meglio così...E' la prima curva d'imbocco inerbato, al camminamento che s'è ristretto con il passare degli anni. Argo racconta di passare di lì molte volte l'anno e di portarci la gente. Pochi, me compreso, s'accorgono d'essere sopra uno sperone, anche se per qualche misero secondo. Ora parlo un pò al presente ed un pò al passato, poichè i momenti che ricordo s'allontanano e s'avvicinano intermittenti, a tal punto da sembrare talmente vivi a tratti, da farmi volar lì con la fantasia. Con il tele trasporto dei sogni che non mi abbandonano mai quando sono in corsa o in cammino. D'improvviso il passaggio su d'un ghiaione...L'alluvione di novembre lo ha reso ancor piu' irto ed ha lasciato un sottile lembo camminabile, a piedi concentrati e allineati l'un dietro l'altro. E' su di una gobba...Lo si sale e lo si ridiscende. Subito dopo, un'albero caduto disegna un tunnel naturale, poichè poggiato sul ramo maestro d'un suo simile ancora ben ancorato  sul limitar della via percorsa.
Si fermano in molti nei pressi della pianta e lasciano passare la guida, forse per chissà quale timore o forse percependo che di lì a breve il percorso avrebbe deviato.
Ho l'impressione che qualche animale ci osservi, sento dei movimenti nel bosco. Argo conferma, c'è qualche ospite ma deve essere lì solo per controllare che non ci si avvicini troppo al suo territorio. Nessun grugnito e rumori piuttosto flebili, quasi strusciamenti sul terreno intriso di fogliame. Sarà stato un capriolo...

VenanzioCorreAncora-capitolo25-

CAPITOLO 25

L'alba sopra Cilladon


L'alba. Foto di Placido Mondin
Alcuni prendono vantaggio, io rimango lì con Sonia e Donatella, tenendo un passo piu' moderato. Ogni tanto mi giro verso il Cornella, la montagna che sovrasta Quero e la valle del Tegorzo. Una tenue luce di luna illumina uno strato di finissima nebbia che avvolge quel colle, sembra coccolarlo tra i suoi ondeggiamenti appena visibili , in lontananza. Eravamo fermi sul piazzale, all'ultimo tornante prima della Casera La Taita...Dovevamo inserirci nel sentiero che domina la valle di Schievenin dall'alto , abbandonando la comoda via ... Fermo a guardare...Così ero invece. Osservavo lo stagliarsi al cielo di quel pandoro naturale che era appunto ed è ovviamente ancora il Cornella ed il borghetto di Cilladon , traguardato all'altro lato della valle ad un'altezza simile a quella in cui ci trovavamo. Una sorta di paesaggio andino, riportato su suolo italico, sui monti poveri del nord. La temperatura stava scaldando ormai le membra sudate nelle vesti invernali e il mio abbigliamento era forse il piu' pesante, ma non mi sono spogliato. Mi dico spesso, quando esco in escursione, che ognuno di noi è il proprio termometro. Se ho caldo rallento, se ho freddo accelero, se sudo so che sto liberando tossine. Non posso curarmi delle mie fisime di uomo fallacemente troppo prudente, devo solo avanzare, lasciandole disperdersi nell'aria intrisa di molecole di sudore di quel camminatore che altro non sono.
Quanti pensieri in pochi attimi di sosta meravigliosa per guardare le panoramiche adombrate dal mattino che si fa strada, portando luci sempre piu' chiare. Io che non son altro che io, ogni giorno che passa sempre piu' parte di tutto ciò.