venerdì 26 dicembre 2014

VenanzioCorreAncora-capitolo56-

CAPITOLO 56

Il ciclista 

Foto Moira Beppiani
Un gruppo di ragazzi è seduto sul pianale d'un furgoncino aperto, sullo spiazzo che guarda la Pianura Veneta...Oltre lo sguardo si perde l'immensità e sullo sfondo la laguna s'apre. Mi domando chi abbia guidato quel furgone...sono tutti giovinastri...Mah, Pettegolezzo che anticipa una precoce senilità, di codesto camminatore?
Procediamo sempre in senso opposto alla marcia veicolare e d'un tratto un rombo d'auto, seguito da uno sgasare di motocicletta...Un'Audi R8 arancione metallizata sfreccia tra le curve, tallonata da un motociclista che guida freneticamente un mezzo a due ruote del Sol Levante...Che marca ? Vai a ricordarlo adesso, era bianca e rossa, forse una Honda CBR un pò datata...E in fondo, che me ne frega, io devo procedere al passo e l'unico sgasare possibile è meglio non riprodurlo, in testo, tra queste righe...Un chilometro a Campo Solagna...
Eccoci ormai nel tratto in piano che anticipa la curva a destra, con lo spiazzo su cui sostano i turisti del Grappa , davanti alla locanda aperta e vivacemente animata da un fitto vociare.
Alla curva un ciclista è appoggiato ad un muretto, ci guarda avanzare...ci ferma.
<Ciao, vi ho visto salire...venite su bene. Ho l'impressione che potreste venire su piu' rapidi di qualche ciclista. Dove andate?>.
Spieghiamo chi siamo e cosa facciamo lì ed in effetti conveniamo. Qualcuno un mountain bike ha dovuto faticare per superarci, sebbene noi non procedessimo a passo tiratissimo.
Una nota a margine che comunque dà valore al nordic walking anche come forma di sport efficace. Certo, non saremo noi gli autori piu' performanti della disciplina, ma già così, mediamente allenati, diamo un senso alla considerazione dell'appassionato sulle due ruote.
Al piazzale sono le dieci e cinque e lì c'è un'altra comitiva di ciclo amatori, ben accompagnati da quote rosa apprezzabili. Volponi questi ciclisti...Io sono in compagnia d'un'orso.
Anche con loro si chiacchiera, di noi, di loro, dell'AISLA...E' bello vedere che il gagliardetto induce a domande curiose ed è un piacere spiegare di cosa si tratti. Il nostro ed il loro sogno in movimento, comuni, hanno un senso.


VenanzioCorreAncora-capitolo55

CAPITOLO 55

Tel bute do par la val! 

Foto di Placido Mondin 
Primo chilometro di salita sotto gli undici minuti, di preciso non ricordo quanto...Ci diciamo che è meglio calare, i chilometri in ascesa sono ancora ventisei...Dunque rallentiamo e chiacchierando andiamo...Al secondo "bip" della salita il Garmin, strumento che generalmente liquido con un < Tel bute do par la val! > (Te lo getto giu' per la scarpata. -traduz.-)dice abbiamo aumentato il passo, strana cosa per due che dovevano rallentare una decina di minuti prima. Presto ci arrendiamo all'evidenza e saliamo a sensazione e presto ci accorgiamo che la tabella di marcia è molto anticipata. Informiamo quindi gli amici che ci avrebbero atteso secondo orari che avevamo dato, che probabilmente al trentaquattresimo di Campo Solagna saremo in anticipo per il pranzo...
Chilometro trenta, il primo obiettivo fissato nella testa, un breve tunnel stretto che anticipa una curva a sinistra...Si inizia, guardando in alto , sopra la valle aperta a riconoscere l'ossario in lontananza , sulla cima d'un monte che pare così distante, così in alto.
Qualche raggio di sole fa capolino ed allora meglio mettere la bandana. Sarò più buffo ma non voglio rischiare che il sole si abbatta sulla mia testa e sia un'incognita impazzita che possa minare la riuscita, almeno della salita a Cima Grappa...Sì, perchè ci accontenteremmo di arrivare fin lassù, a lambire i cinquanta chilometri, superando quindi la nostra storia di camminatori della distanza.
Presto siamo alla vecchia cava di Col Campeggia, laddove cartelli ben posti indicano il percorso delle trincee...Lì, penso, vorrò tornare col gruppo di camminatori consueto, con gli amici rimasti...ma poi chissà dove porterà quella strada che si perde tra pareti di sasso scavate sulla montagna, nella quale un'area deserta è parzialmente ricoperta di rovi ed arbusti spontanei...? Alla domanda troverò risposta qualche chilometro oltre.


VenanzioCorreAncora-capitolo54

CAPITOLO 54

L'ortolano curioso

Foto di Placido Mondin

Tutto fa parte di una giornata davvero diversa. Abbiamo già camminato venti chilometri, sono le sette...e tutto va bene . Ripartiamo ed entriamo a Romano d'Ezzelino, piccola flottiglia di ciclisti in verso opposto ci saluta, noto gambe depilate, freschezza atletica e la scollatura del membro femminile della comitiva che emula Paola Pezzo.
Alla rotatoria giriamo a destra e ci inoltriamo nel paese, tra piccoli negozietti chiusi e qualche passeggiatore mattiniero che ci osserva con curiosità . Un barista spinge fuori dal locale lo sporco del pavimento ed inizia la sua giornata lavorativa.
Noi siamo nel tratto semi pianeggiante, incontriamo il cartello che indica Cima Grappa a chilometri ventisette.
Giacomo mi racconta alcune cose che distrattamente ascolto, frattanto passiamo di fianco ad un ortolano che ci augura buon viaggio con il classico : < Onde ndeu? > (Dove andate? traduz.). Rispondiamo : < A Cima Grappa ! > e lui fa cenni di negazione con il capo, praticamente dandoci silenziosamente dei "pazzi".
Un trattore ci supera proprio dove comincia la salita. Ora noi confabuliamo sulla media da tenere, incuriositi dai calcoli della vigilia. Una jeep ci affianca e passa oltre,  producendo un fumo nero dall'odore acre , disgustoso...aria di montagna. Primo tornante, osserviamo che il bar è in vendita ed è chiuso...Brutti segnali di crisi per una delle aree turistiche piu' conosciute del Veneto montano. Cipressi d'un verde intenso, lussureggiante fino all'alta punta, scossi da un vento non fortissimo ma puntiglioso in folate costanti che arrivano dalla valle.

mercoledì 17 dicembre 2014

VenanzioCorreAncora-capitolo53-

Capitolo 53

Il sauro nero


Foto di Placido Mondin 
Avevamo previsto la colazione in un'osteria di Borso, ma tutto è ancora chiuso, perchè, forse, stiamo andando troppo rapidi ed il tempo passa piu' lentamente, rispetto ad un passo che avanza veloce.
Niente, borgata dopo borgata, chilometro dopo chilometro, nessun bar aperto e noi iniziamo ad essere affamati ma non era prevista una sosta a zaino, perchè il primo pasto di giornata deve servire a dar forza e va fatto con calma, seduti ad un tavolo...
Siamo oltre il prevedibile, quasi a Romano d'Ezzelino, dove inizieremo i ventisette chilometri di salita al Grappa.
Ormai persi d'animo, d'improvviso al secondo piano di una palazzina , un vecchio locale , retrò, anni '70 , ci accoglie.
Una signora anziana , la figlia e gli avventori più fedeli, lì sin dal mattino.
In televisione un poliziesco tedesco di fine ventesimo secolo e quell'odore di nicotina che sembra uscire dallo schermo, dalla sigaretta dell'ispettore Kroeggersteiner , di turno...
Due krapfen molto zuccherati ed un cappuccino, senza decori sulla schiuma, ma vero, casereccio, quasi caffè-latte . 
In bagno, lo sciacquone a catena. Tutto pulito, vecchio, vissuto, ma pulito, parte di una storia tutta loro, della madre e di quella giovane figlia dallo sguardo stanco, ma laboriosa, ammirabile.
Si riparte.
Un sauro nero è sveglio, sul terreno prativo d'un parco tutto suo, proprio al limitare della strada.
Ci guarda, si avvicina, curioso, forse un po' invidioso di quella nostra aria libera.


VenanzioCorreAncora-capitolo52

Capitolo 52

Paesaggi rurali e aristocratici


Foto di Placido Mondin
Si continua , accompagnati da quella sontuosa luce nel buio.
Gli animi respirano , sincronizzati con il fiatare ancora fresco , di chi cammina da poco.
La notte è sempre la notte, benchè il mattino la stia per raggiungere e noi, senza voltarci indietro, scaliamo la rampa e passiamo via, senza pensarci troppo su.
Il tempio è alle spalle, il campanile ci spinge , curiosando i nostri passi , avvolti nella sua imponente ombra , scura in mezzo alle rade luci; buia , dentro l'oscurità.
I borghi vecchi passano. Mi fermo a scaricare la tensione, dietro ad un cespuglio in un cortile dismesso.
Verso Crespano , superiamo le fornaci e si sale sulla strada di percorrenza , che lambisce il minigolf.
Passa un motociclista, errante d'agosto , forse diretto verso il mare.
Curve e controcurve, poi la strada spiana.
Quella dritta, verso il ponte degli ultimi respiri, così come lo chiamo io, per la sua triste storia di luogo di fine vita, per molti.
Laggiu', sullo sfondo, qualcosa che mai avevo visto , un paesaggio toscano in terra veneta. Una collina bassa, al cui culmine s'erge una villa dalle fattezze apparentemente rurali, ma dallo stile aristocratico...Sì, lo so che scrivo l'antitesi dell'ovvio, ma in fondo, cerco di dire esattamente quel che penso, vedo e sento...
Il ponte è superato, Crespano passa ed ora siamo sul tratto lungo che ci porterà a Borso, quello piu' pericoloso, lungo, monotono, sulla carreggiata che inizia a farsi vivace, transitata, temibile.

giovedì 31 luglio 2014

VenanzioCorreAncora-capitolo51-

CAPITOLO 51

Tra Cavaso e Possagno

Foto di Moira Beppiani
Una pensilina sradicata e rami sparsi sulla carreggiata, confermavano il passaggio furioso delle arie della notte.
Nessun'auto , nessun rumore, solo il ticchettare regolare dei bastoncini.
Il Garmin iniziava a scandire i primi chilometri, uno ad uno , con un semplice bip.
Giacomo lo indossava ed era lui a saperlo usare e ad interessarsi della statistica, mentre io, piu' passavano gli anni, piu' diventavo scorbutico verso una tecnologia che un tempo assecondava i miei miglioramenti. Oggi invece , il tempo e' come lo svaso della clessidra. Lui passa ed io mi accodo.
Fummo presto al limitare della rampa di Cavaso e li' decidemmo di abbandonare l'asfalto e di salire in paese attraverso il camminamento in terra battuta che ondeggiava verso la chiesa, accompagnato al fianco da brevi staccionate e illuminato dal chiarore di piccoli fari rotondi.

rammento, sulla destra di aver osservato un colonnato ad arco , sulla rupe di sostegno alla strada veicolare, protetta dal tipico muro in sasso di chiara fattura progettuale di meta' secolo ventesimo.
L'ultima irta era un pò ripida ed in pratica, avremmo scoperto poi, che con quella variante avremmo perso un chilometro per strada.
Poco male...Si avanzava in direzione Possagno.
Usciti dal paese, dopo qualche variante pendente , ma in maniera lieve, fummo presto alla base di una zona prativa che precedeva il boschetto su cui, tra vari tornanti, correva la strada per il paese del Canova.
Una lepre scattante nel prato, andava a ripararsi sotto la catasta di fieno stagionato ed un gallo cantava in prossimità del mattino.
Alle cinque eravamo alla base del lungo viale inclinato che conduce al tempio.
La sua maestosa imponenza ci accompagnava dall'alto del nostro andargli incontro.

mercoledì 30 luglio 2014

VenanzioCorreAncora-capitolo50-


La fine non è scritta, la corsa continua.
GRAZIE A TUTTI
ArGo
CAPITOLO 50

" Ho detto che vengo anch'io "


Ho detto che vengo anch'io.
Non riesco a spiegare neppure ora che sto raccontando a distanza di tempo, quale sia l'emozione che si prova, partendo per una sfida che non sai se sei pronto a superare.
Ripercorrevo mentalmente i mesi della preparazione e mi tornava in testa anche quel giro invernale alla grotta in cima al monte, che forse era stato fondamentale per decidere di provare ad andare oltre.
Nei mesi precedenti, erano stati in tanti a domandare di poter accompagnarmi ma io, da subito, l'avevo percepita come una sfida personale, dentro alla quale sentirmi responsabile solo di me stesso e della mia consapevole pazzia.
Avevo detto no a tutti, uno dopo l'altra.
Poi si era proposto Giacomo ed anche a lui avevo detto di no, ma il lombardo era uno tosto e io me le ricordo ancora quelle parole ferme, convinte... irremovibile. < Ho detto che vengo anch'io. Fine della discussione >.
Era quel tono, quello giusto. Quella frase perentoria, che esprimeva la grande voglia di condividere il viaggio...Cosi lo voglio chiamare: viaggio.
La prima mezz'ora passo' rapidissima, lungo i paesini ancora bagnati dall'umido lasciato dal temporale.

Un forte vento ancora latente, aveva asciugato il fradicio accumulo d'acqua che sino ad un'ora prima aveva attraversato, in fronte compatto, l'intera piana, alle pendici del Monfenera.

martedì 29 luglio 2014

VenanzioCorreAncora-capitolo49-

CAPITOLO 49

In due, all'alba.

( I capitoli che seguono sono ispirati ed hanno una dedica speciale ad un mio compagno del viaggio piu' lungo e sentito, che abbia mai percorso a piedi, in un giorno. Un uomo leale e vero. Il mio amico Paolo).


L'alba sulla montagna. Foto di Placido Mondin

Comincio così, un pò per raccontare ed un pò per ricordare ciò che ieri è stato ed oggi si sente addosso nel fisico e nella mente.Siamo partiti in due, io , bolognese di Schievenin, cittadino di questa terra e Giacomo , pradense lombardo, mio concittadino, storico per natura e missione.Erano quasi le quattro e dopo il caffè bolente , nella cucina silenziosa, mentre tutto intorno era dormiente, caricato lo zaino in spalla, uscivo dalla porta ed andavo ad incontrare un amico fidato. Quattro ed otto minuti. Partenza in Piazza a Pederobba ,nell'alta trevigiana, nel buio del paese fermo, in una notte tormentata dal temporale forse in fuga. Una fotografia fugace che oggi la mia macchinetta fotografica, non so perchè, non mi voleva restituire, quasi a cancellare un momento che forse doveva rimanere nostro.Lontano ancora il rumore del temporale, i fulmini ed un non quieto dormire, ansioso , forse preoccupato , di certo emozionato di un paio d'ore a testa, ormai alle saplleNoi in fondo quella distanza non l'avevamo mai percorsa. Io da corridore ero arrivato alla maratona, Paolo ai trenta chilometri, forse... Con noi però, avevamo qualcosa di differente, due bastoncini, un paio di tecniche utilizzabili, la voglia di provare. Soli, con una certezza, quella di non andare incontro ad eroismi ma di voler incontrare, tra gli aliti di vento del monte sacro alla patria, i fiati di quegli eroi veri che lì hanno combattuto la piu' atroce delle guerre inutili. Qualche passo incerto : <Pioverà ancora?>. Io domandavo, lui guardava intorno e taceva. Io con la lampada frontale bianca e lui con la lampada rossa alla nuca. Sulla strada deserta, neppure il rumore del tempo, che pareva fermo, seppure in alto le grandi lancette del campanile si udivano muoversi, meccanizzate dagli ingranaggi e rese antiche dalla ruggine , su cui cigolavano i minuti.

domenica 27 luglio 2014

VenanzioCorreAncora-capitolo48-

CAPITOLO 48

Punta Zoc...nella testa il TransCivetta.

Foto di ArGo
Camminavamo sull'orlo del dirupo, il quale , in fondo non incuteva grosso timore. Era infatti irto e proiettato in caduta verso la valle, ma non rado di vegetazioni ed erbe che ne nascondevano le picchiate rocciose, perse allo sguardo.
Passammo al di la' della montagna , attraverso un varco aperto in mezzo a una grande roccia, prendendo ora una via piu' consueta, il sentiero che dal Masare', conduce a Spinoncia.
Curve strette ed un calar di dislivello, rapido e impegnativo, poiche' scivoloso su quel tappeto pendente, cosparso di fogliame secco.
In questa sorta di diario, scordero' volutamente quel pezzo d'avventura che porta ai piedi della rampa vertiginosa che conduce alla croce di Zoc, la punta piu' elevata dei promontori della terra delle medaglie d'oro.
Solo una citazione non puo' che meritare la mia attenzione. Il sentiero che uscendo dal bosco adombrato, incontra la luce ed il vuoto.
Pare davvero che quei pochi metri in lieve salita, ultimi, prima di trovarsi nella montagna aperta e panoramica, si gettino nell'immensita'.

Invece e' solo una curva, invisibile da dentro, occultata dal gioco di luci che solo il bosco, il sole ed i lumi del giorno, sanno dipingere e creare.
Dopo quella cengia dolce, il racconto si vuol fare frettoloso, rapido, con la volontà di andare oltre.
La val Mer ci aveva coccolato tra le braccia del suo mattino. Il Calcino ci aveva invitato ad aggirare il pericolo, poichè sapeva che oltre avremmo incontrato un'alba splendida. Il monte Madal ci aveva atteso per il pranzo, preparandoci quella sua irta per punta Zoc, dalla quale si vedeva il Piave, rallentando un passo faticoso, su una pendenza aspra.
Vidi tra le fronde dei radi cespugli d'albero montano che la nostra guida avanzava fuori dal sentiero...
Giacomo mi si rivolse dicendo : < Ora siamo pronti per il TransCivetta >.
E così fu...

VenanzioCorreAncora-capitolo47-

CAPITOLO 47

Tomba faraonica

Foto di ArGo
Assorto nei miei pensieri mi sedetti su di un sasso, approfittando per mandar giu' qualche sorso di caffe' tiepido, rimasto li' a depositarsi sul fondo del thermos d'alluminio.
Rumori di ghiaia che precipita a valle ed un fischio flebilmente creato dal vento, accompagnavano quegli istanti meditativi.
Poco piu' in la', la guida stava in piedi , ai margini della via e scattava foto, tacendo l'ammirazione che i suoi occhi dicevano, senza fiatare.
Io mi sentivo simile a quel ragazzo, in una sorta di gemellaggio umano anagraficamente distante ma emotivamente parallelo.
Spiavo senza farmi notare, quello sguardo un poco truce, ma malinconico, beffardamente camuffato di fierezza, eppure timidamente assorto nell'ammirare quell'immensita', fatta di vuoto davanti ai piedi e di enormita' stampata all'orizzonte prossimo.
Fontanasecca e le due gobbe , sue sorelle, si lasciava "taliare", come avrebbe detto il Montalbano di Camilleri, senza smuoversi minimamente, composto ed imponente nel suo somigliare ad un sepolcro regio.

Pensai che se non nel deserto, Tutankamen avrebbe scelto di dimorare eternamente nel ventre possente di quella montagna.
Il gruppo era pronto ad avanzare  sul limitar del dirupo, porgendo lo sguardo attento all'interno delle cavità scavate in roccia.
Un piccolo esempio di sentiero, del tutto simile al celebre "troi de le Meatte" e delle vie del Pasubio.
Qualche sintomo di vertigine, nei punti piu' stretti.
A che aveva olfatto allenato non sfuggì neppure l'odore selvatico della volpe che di quelle grotte aveva fatto il suo pertugio notturno.
Avanti a passo costante, lungo una via che a tratti si inerpicava, sfruttando tornanti scavati sul crinale, che erano quasi invisibili sentieri poco frequentati e forse destinati a soccombere al tempo, allo scordar facile dell'uomo, che cammina spesso luoghi facili e tralascia di percorrere la memoria.
Lassu' si era combattuta la piu' tragica delle guerre di logoramento.
Lassu', eroi giovani e silenziosi avevano lasciato un segno che noi ora potevamo ammirare.

VenanzioCorreAncora-capitolo46-

CAPITOLO 46

La coperta di Dio

Foto di Placido Mondin
Un'ora di cammino passata in fretta, tanto era stata serena da vivere e , in fin dei conti, defaticante.
Ora si faceva sempre piu' fremente l'attesa e la curiosita' di veder apparire la cengia che avrebbe aperto la vista sul Fontanasecca. Il sottobosco aveva ormai cambiato aspetto e di tanto in tanto iniziava a riproporre quei ciuffi d'erba ruvida, mentre il terreno si aggrappava sempre piu' a tratti in salita, ormai spesso ospitante sassi.
Qualche ginepro faceva intuire che si era vicini ormai a raggiungere spazi piu' luminosi ed i rari pini non erano altro che alberelli semi rinsecchiti, al limitar d'un bosco che pareva averli ripudiati.
Finalmente arrivammo allo scoperto, proprio sul limitare di un tornante esposto, s'era avvinghiato un albero di frassino, o almeno credo che lo fosse.
Qualcuno, dietro, s'era attardato per bisogni incontrollabili e ci fu quindi il tempo d'una sosta.
Tra i rami fini e fitti, come in una trama ad uncinetto, scorgevo un velato candore , adagiato su quell'enorme distesa inclinata e prativa che quel monte appuntito ospitava da secoli immemori.
Eccolo, splendido e luminoso, esteso e proteso verso il cielo.
Pareva che li' , il Dio che creo' il mondo, avesse gettato una coperta d'erba , terra e neve, su d'una piramide...

Rinsavendo, rispetto ad un idiota pensiero di religiosa attinenza, ricordai che gli Egizi, i Maya e gli Aztechi erano elementi del creato di quello stesso Dio che figuravo come creatore della terra e del cielo, signore e padrone delle umanita' presunte tali.

mercoledì 26 marzo 2014

VenanzioCorreAncora-capitolo45-

CAPITOLO 45

La dimora d'un pazzo

Foto di ArGo
Il fogliame sparso , lungo il viale silenzioso d'un bosco pulito. Alberi d'alto fusto e pini maestosi, facevano da commensali a quel nostro alimentarsi d'emozione vera. Sulla cima del pendio un piccolo di camoscio, che pareva esser solitario ospite della foresta prealpina, ma era guardato a vista da ben coperti genitori che in pochi balzi gli furono al fianco e con cenni o versi pressoche' silenti, diedero ordine di balzar via, oltra la cima. Che era triste, pensavo, esser scambiati per predatori, in virtu' d'appartenere ad una specie di cui mi sentivo parte avulsa. avrei voluto che m'attendessero, per dialogare, occhi negli occhi, senza proferir verbo alcuno.
La via si fece piu' ombrosa, tra le maglie d'una vegetazione piu' raggruppata.
Fu strano cedere i ruderi d'una casa, in quel luogo scordato dagli Dei e venne da chiedersi chi fu il pazzo o l'artista che volle dimorare quassu', tra i rami degli alberi e l'essenza della solitudine, percepita al solo odorar le flebili folate di un vento che vento non era, ma aria solitaria.
La via era pianeggiante, non mentiva l'uomo che era alla testa della fila stanca. di tanto in tanto il sentiero s'alzava su dolci tornanti , per poi prendere, comodo, lunghi tagli di crinale, che portavano , astuti, in falsi piani ben celati dal letto di fogliame scricchiolante, verso quella cima, oltre la quale avevo visto sparire quella famiglia di quadrupedi , agili e zompettanti.
Nel placido quadro che stavamo rendendo vivo, si sentiva l'odore umido dei muschi di corteccia ed in lontananza un cadenzato rintoccar di colpi.
Non era il boscaiolo che brandiva l'ascia ma lo scultore dei tronchi, colui al quale avevo lasciato un biscotto in dono.
Salutava il nostro passaggio, lavorando senza sosta , prendendo fiato di tanto in tanto , tra un beccar di legno ed un altro ancora.

Udivamo il faticar poetico del picchio. 

giovedì 13 marzo 2014

VenanzioCorreAncora-capitolo44-

CAPITOLO 44

La tana del picchio

Foto di Placido Mondin
Giacomo ne ascoltava le tesi senza parlare, forse per rispetto all'impegno profuso nel condurci la', ma lo vedevo arricciare a tratti, tra le frasi del racconto, l'ingobbito naso aquilino.
La Gian offriva del the caldo ed Assunta qualche biscotto fatto in casa. a me tocco' quello con l'uvetta bruciacchiata e senza farmi notare lo posai in un buco incavato nel tronco d'un abete in punto di morte.
Il modesto filtrar della luce , condannava a morte gli alberi piu' piccoli, destinati a soccombere ed a marcire in piedi.
Quel biscotto lo pensai donato a quel picchio che Argo ci racconto' aver visto in zona, nell'inverno precedente, quando sali' in solitaria seguendo l'orme della volpe, su di un sottile strato di neve in dissolvimento.
Rifocillati ripartimmo. Ci disse che ora il cammino sarebbe diventato piu' dolce e descrisse la poesia dei luoghi che di li' a pochi minuti avremmo cominciato a calpestare ed accarezzare con lo sguardo.
Qualche metro dopo essere ripartiti il sentiero impenno' vorticosamente, traguardando un colle che dovevamo raggiungere, a quanto parve.
Se la dolcezza della via da seguire ancora era tale , quanto la premessa, allora quell'uomo cominciava a darmi sui nervi.
O era bugiardo oppure motivatore. Si guardo' indietro e lesse la perplessita' negli occhi di piu' d'uno di noi. Allora disse:

< Qui' e' irto, ma avanti, la fatica non puo' esser peggiore dell'ozio >.

VenanzioCorreAncora-capitolo43-

CAPITOLO 43

Gli omini di sassi

Foto di Placido Mondin
Impervio, rude e scuro, quell'antro di terra metteva pace e pensieri in disordine, giacche' il passo era sempre piu' stanco e la mente si deconcentrava , avanzando.
Quel che vedemmo risalendo, puo' esser detto solo in parte, poiche' il luogo nasconde segreti che devon restar tali ed elementi che preferibilmente e' piu' utile restino celati, conservati ed accuditi nel materno abbraccio di madre montagna.
Tutti uniti si continuava a salire, fermandosi a riprender fiato ed a dar coraggio ai meno preparati, anche se, a dire il vero, nessuno mi pareva tale.
Improvvisa, come una punta di freccia librata in aria dall'arciere dei tempi, sulla destra, sulla cima del sentiero zigzagante tra i massi, una grotta.
La strada per raggiungerla non e' sparita quindi ed anche noi, nel nostro piccolo la stavamo aiutando a sopravvivere.
All'alpinista esperto non sarebbero sfuggiti gli "omini di sasso", mucchietti di pietre ammassati piramidalmente, simili ai piu' conosciuti segna via delle Ande dell'America del sud. Qualcuno di noi si fermava a posare un sasso...Ecco il perche' del sentirsi un po' parte della storia delle vie di guerra montane, in via d'estinzione ma curate da chi ha a cuore il passato, come culla della cultura che porta al futuro.

Egli ci spiego' che quella grande insenatura non era naturale, ma artifizio di origine bellica, forse deposito per munizioni e forse ricovero per partigiani o genti , in fuga dall'oppressore germanico che andava incendiando e depredando i paesi del fondo valle.

mercoledì 12 marzo 2014

VenanzioCorreAncora-capitolo42-

CAPITOLO 42

Il colpo di Mauser

Foto di Placido Mondin
Un faggio sradicato . Si vedeva piu' in alto, nella penombra della valle. Seguivamo la traiettoria tracciata dalla testa del gruppo, apparentemente casuale, ma poi ci trovavamo su  brevi tratti chiaramente originali, d'un sentiero che stava scomparendo tra sassi rotolati a valle e arbusti nerboruti che si stavano impadronendo del sottobosco.
Da sopra un ceppo roccioso spuntavano le corna d'un giovane camoscio che ci spiava, mentre l'aria si era fatta gelida e penetrava tra i tessuti di lanolina del mio dolcevita marron scuro. Un'umidita' intrisa di freddo , mescolata al sudore naturale della pelle mi fece partire un tremito che, dalla spalla destra mi percorse i fianchi, sino alla pianta del piede che sussulto' spasmodico.
Foglie secce e rami sparsi; vettovaglie arrugginite ed una suola di scarpone , ancora vivono nei miei attuali ricordi.

Immagini che mi facevano rivivere un pezzo di storia, di tempo antico, ma non remoto nel suo essere trapassato. Mi figuravo un uomo che mangiava , seduto dietro al tronco del grande carpino che stavo lambendo al passo. pochi istanti dopo, immaginavo un colpo di Mauser, secco, preciso, infallibile al bersaglio...Una sagoma esanime , adagiarsi a terra. Ora di tutto quel mio film , restavano foglie bagnate a ricoprire pezzi d'anima umana, in parte volata via, oltre il bosco, verso il cielo aperto.

martedì 11 marzo 2014

VenanzioCorreAncora-capitolo41-

CAPITOLO 41

Il muschio abbracciato ai sassi

Foto di ArGo
In coda, Emanuele accompagnava con galanteria , Sonia, la quale mai si era lamentata, sin dalla partenza. Continuava a perseguire il suo intento e non fiatava, se non per respirare, ma le si leggevano in viso espressioni e pensieri sereni.
Stavamo percorrendo un tratto piu' pendente. Era chiaro che lassu' le truppe tedesche avevano dovuto progettare una serie di tornanti, per riuscire a portare su le munizioni trainate a slitta o su ruota, ma mi domandavo come, giacche' li' era realmente molto stretto ed in qualche punto anche irto davvero.
Fabrizio e Michele "viaggiavano" sempre l'uno dietro l'altro, dando l'impressione di grande unione.
Nel mezzo le due donne di Prada, la Gian ed Assunta, che stranamente non discorrevano.
La salita iniziava a fare il suo corso ma davanti procedevano a ritmo tranquillo e sovente si fermavano , per far si' che la "truppa" procedesse compatta.
Non ebbi nemmeno il tempo di ragionarci, che lo spazio aperto era finito e stavo camminando a lato d'un grosso pino, solitario tra arbusti meno nobili e poderosi.
Era cominciato il bosco "drio Madal", cosi' ci spiego' il nostro Cicerone di giornata.
disse che era un luogo conosciuto a pochi, per lo piu' cacciatori che comunque passavano di rado.
 Aveva un qualcosa di mistico. Silenzio  e umidita', rocce nude a limitar i contorni d'una valle impervia, boschiva ma non troppo.
Mano a mano che avanzavo, mi facevo catturare dall'immagine avventurosa che imprimeva.

Il sentiero ora era scomparso, vagavamo, risalendo, tra massi pregni di muschi naturali , di color grigio scuro, invecchiati dal tempo. che stantii li aveva deposti la'.

VenanzioCorreAncora-capitolo40-

CAPITOLO 40

Erba ruvida

Quello che nei fumetti avrebbero titolato come "scampato pericolo", era passato senza causare danni o ferite.
Puo' accadere , in montagna, che ogni tanto vi si stacchino tranci di roccia, soprattutto in queste zone, dove la composizione delle stesse  e' di natura piuttosto friabile.
Si trattava , ora, di trovare l'imbocco del sentiero Rommel, tagliato di netto da quella moderna strada , necessaria al disboscamento o come via per intervenire in caso di incendi.
Chi ci guidava aveva comunque messo un segnale. Un sasso poggiato alla base della "scarpata", interrato quel tanto da farlo rimanere fermo e stabile. Iniziammo cosi' il tratto piu' avventuroso, recondito, nascosto e poco calpestato. Un sentiero semi abbandonato che iniziava immergendosi tra un cespuglio d' nocciolo selvatico ed una piccola roccia, alla cui base un incavo aveva a terra i segni evidenti dell'esser stato giaciglio notturno di un piccolo animale selvatico, forse la volpe.
I due di Falze', Nadia e Daniele, teneva il passo del battistrada e dietro , noi, in fila, seguivamo, attenti a non inciampare tra i rovi rinsecchiti  e in parte ghiacciati dalla brina del primo inverno.
In quel versante il sole non arrivava e d'altra parte il cielo era anche coperto.

La via diveniva piu' stretta e curvava lungo le pieghe della rupe. Un tappeto d'erba ruvida, di quel genere che se la tocchi con i polpastrelli delle dita, un brivido ti corre sulla schiena e ti fa digrignare i denti, sino a farti inumidire gli occhi.

VenanzioCorreAncora-capitolo39-

CAPITOLO 39

Rombo di tuono

Un rimbombo che faceva risuonar la valle di colpi sordi , come colpi di grancassa inferti da un gigante ai terreni del bosco.
Eravamo tutti fermi immobili, un po' spaventati ed un poco curiosi, di capire la natura del fenomeno.
sempre piu' forte...sempre di piu', si avvicinava, aumentando i toni bassi del cupo rumoreggiare.
D'improvviso si fece vicino; cosi' tanto che la strada sotto i piedi inizio' a vibrare, sobbalzando.
Uno spostamento d'aria arrivo' attraverso una folata di vento, fortissima.
Crepitando tra gli alberi, qualcosa scendeva rapidamente il crinale.
Rumori secchi di rami spezzati e tonfi, ancora tonfi, intervallati da sibili che parevano grida di dolore tra gli alberi.
D'istinto io mi gettai a terra , schiena poggiata al dirupo e mani a proteggere il capo, seguito dall'emulazione di tutti.
La guida si attardava, fissando tremolante il crinale esteso in alto, osservando insistentemente  una parete rocciosa , sotto la croce di cima, che si intravvedeva, nascosta dalle punte dei pini.
Un balzo e fu a terra a nche lui.< Arriva...>, grido'...< Tutti giu' ...>.

E come un proiettile a traiettoria di catapulta, un masso delle dimensioni d'una betoniera, volo' sulle nostre teste, a qualche piede dai capelli, sul filo a sbalzo immaginario, del terrore.

giovedì 27 febbraio 2014

VenanzioCorreAncora-capitolo38

CAPITOLO 38

"...Elo onde che ndé ? "


Foto di ArGo
Il piu' anziano , del gruppo di boscaioli, brandiva una clava metallica che era ovviamente la protagonista dei battiti che rintronavano d'echi la valle.
Tacquero e ci osservarono, come si osservano i perditempo sfaccendati che mal misurano l'utilita' del primario obiettivo del vivere...il lavoro.
Poi l'anziano si rivolse ad Argo: < Elo onde che nde' ? > , chiese in stretto dialetto bellunese, curioso di sapere la nostra meta.
La guida rispose senza scomporsi, scambiando solo lo stesso sguardo fiero, in una sorta di lotta tra capibranco umani che si contendono la sovranita' del bosco a colpi di sgaurdi e di sapienze territoriali.
Infatti il boscaiolo incalzo': < E setu bon po' de catar al troi che va alla croda? >.
Una smorfia al limitar destro del labbro ed un sorriso stentato, quasi aspro, fu la risposta della nostra guida che non conosceva forse quel tratto che stavamo calcando, ma era certo che avrebbe trovato quel sentiero, spezzato dalla boschiva e forse coperto di rovi.
Un soffio di vento tagliente spezzo' l'atmosfera di montanara sfida tra i due ed egli ci fece cenno di seguirlo. Saluto' i lavoranti, con garbo e tono fermo e riprendemmo il cammino.
Panorami estesi ad est, che miravano a colli imbiancati, in parte tondeggianti e in parte ruvidi ci accompagnarono per un'altra mezz'ora a passo moderato.
Tutto sembra quieto e certo, la guida avanzava dando l'impressione di aver trovato l'orientamento cercato, quando improvvisamente...



VenanzioCorreAncora-capitolo37

CAPITOLO 37

Lucky Strike



Foto di Placido Mondin
Di qualche tratto ho perso la memoria, ma ricordo bene che sullo spiazzo di cima del monte Madal, la guida ci fece intraprendere una strada boschiva, che tagliava il monte, dritto per dritto...o almeno cosi' poteva sembrare entrando in un sottobosco coperto da una rada pineta a valle e da un boschetto di carpini, betulle e qualche sparuto larice.
La fila procedeva compatta e Argo sembrava incerto, quasi stupito del prolungarsi di quel tratto che ricordava breve, nei suoi pensieri di vecchio corridore, che qui' allenava gambe e mente, ai tempi delle corse in montagna.
Eppure ci fidavamo senza indugi a seguirlo su quella strada nel bosco, dove il silenzio era interrotto soltanto da qualche colpo ritmato, proveniente da piu' in la'.
Colpi d'ascia, sembravano. camminammo un quarto d'ora , prima di dare un senso a quel dubbio.
Nel mezzo della strada un giovane uomo, vestito in tuta da lavoro, osservava il cielo strabuzzando le pupille con aria persa e di tanto in tanto aspirava , concentrato, dal filtro della Lucky Strike.
No avevo dubbi nel riconoscere quell'acre odore che per anni avevo annusato nel bar bolognese frequentato in gioventu', nel quale un eccentrico gestore, bandiva dalla sala tutti coloro che avessero osato fumare sigarette di marca differente .




giovedì 30 gennaio 2014

VenanzioCorreAncora-capitolo36-

CAPITOLO 36

Un soldato di vedetta

Foto di ArGo
Il ponte era li' , in fondo alla discesa, poco dopo gli ultimi tornanti su un sentiero divenuto  comodo.
Una decina di metri , in basso, una piccola cascata che si getta in un bacino modesto ma limpido e profondo. Guardarlo dava un senso di disequilibrio che spingeva a non sporgersi, troppo oltre la balaustra di ferro vecchio.
Guardavo Argo che osservava Sonia, quasi volesse  accertarsi che fosse in forze ...ed era cosi'. Partita con la consapevolezza d'una sfida a se stessa, taceva, introspetta nello sguardo sereno, che poteva sembrare assente.
Un goccio di caffe' caldo, un cioccolatino e poi la piana verso Balzan.
Tutti estremamente tranquilli, la deviazione obbligata , che avrebbe allungato il giro, non aveva minato lo spirito. Solo il capogruppo, si notava bene, avrebbe preferito fare "il Rommel". Ma cosi' fu e cosi' doveva essere, secondo destino.
In ascesa il gruppo avanzo' ad elastico, ognuno col suo passo e tornante dopo tornante la quota s'alzava.
Luce che filtrava tra i rami, d'una luminosita' accecante e profili di montagne intraviste in mezzo a quel puzzle creato dal bosco.
Poi il cambio di versante e la Val di Prada a vista, messa li' da una mano sapiente a riempire uno spazio verde, fortemente inclinato, tra montagne impervie e sfumature nebbiose incombenti sulle cime.
Una vetta Dolomitica compariva ad est, bianca, maestosa, irridente nel sovrastar d'imponenza la coltre grigia, distesa a tappeto fitto ma incapace di guadagnar la quota di cappa e sconfitta dal chiaror della neve in roccia, affascinante attrazione che catturava gli sguardi.
Poi, d'improvviso lui, gia' visto e ancora la' , l'alpino di latta di Madal, opera sopraffina di Giovanni e Gianantonio Buttol, artisti locali , che a misura d'uomo con perizia doviziosa , hanno eretto una statua di scaglie di bombe e detriti bellici e piu' recentemente il compagno aquilotto, al fianco del milite di vedetta.
Sotto la bandiera tricolore, poggiati alla staccionata in legno, sguardi persi nell'immenso catturavano quella vetta bianca, iniziando ad mare la deviazione che tradi' il Rommel ma saluto' il soldato italico.

Egli e' li', fermo a guardare, sull'attenti perpetuo a ricordar che di la' , transito' la storia d'una fetta di liberta' contemporanea.

mercoledì 29 gennaio 2014

VenanzioCorreAncora-capitolo35-

CAPITOLO 35

L'alba della salamandra


Foto di ArGo
Mestamente , tornar sui nostri passi non fu entusiasmante, ma d'altra parte non c'era scelta.
Alla "casa della strega" riprendemmo a ritroso la via della forcella.
Mano a mano , o meglio passo a passo che risalivamo, dalla piana si apriva un chiarore giallo ocra, sempre piu' tinto di toni caldi, fino a formare i colori dell'alba.
Ben presto fummo al grande masso caduto di recente sul sentiero , appena sotto la  casa enorme del leggendario Franz. A distanza di poco tempo rifacevo lo stesso pensiero. Chissa' che "roboare" aveva prodotto quella palla irregolare pesantissima, rotolando a balzi paurosi dalle pareti rocciose al bosco?
Per scendere al Pont de la Stua , l'unica soluzione era il sentiero meno battuto, peraltro unico a portare al ponte e via di salvezza quando il torrente e' in piena e guadarlo a monte non si puo'.
In effetti chiamarlo sentiero e' come fare un complimento a quella via grezza.
Irto, scosceso, "mosaicato" con sassi sparsi e semoventi, pronti a far dispetto al viandante poco esperto o disattento.
L'alluvione recente lo aveva poi peggiorato, ma a dire il vero anche inselvatichito con fontanoni che formano piccole cascatelle e scivoli d'acqua su lastroni di pietra grigia.
Muschi pregni d'umidita' ed una salamandra adulta , beata, che vorrebbe osservare, ma non puo' che percepire ombre e movenze intruse.
Melodie tutt'intorno, che l'acqua compone, quasi a solfeggiare sonorita' musicoterapiche.

Gli uomini non parlano. Tutto intorno solo silenzi interrotti da magie della natura.

sabato 4 gennaio 2014

VenanzioCorreAncora-capitolo34-

CAPITOLO 34

La furia delle acque

Foto di ArGo
E' solo qualche metro ma ti dà la sensazione di essere davanti ad un colle dietro al quale si nasconda chissà qual tesoro. 
Scavalco la china e mi affaccio al torrente da guadare. C'è piu' acqua del solito ed anche quì il greto è cambiato, par d'essere in un altro luogo, sconosciuto. 
Il buio non aiuta a capire. Attende che tutti oltrepassino, la guida è inquieta, deve comunicare qualcosa.
<Di quà non si passa>.
Si è dunque avverata la sensazione della presenza di quel tesoro nascosto, ma la sorpresa non è delle migliori.
Cerca di trovare un guado, perchè l'acqua scende vorticosa ed alta sul fondale. Salta su grossi massi, dei quali rimane scoperto solo qualche viscido ed esiguo lembo di dorso.
Cerca una via verso molte, laddove una piccola cascata fa presagire che piu' su ci sia un bacino piu' ampio. E' così.
Aggrappato alle ramaglie, scende anche verso fondovalle, scomparendo dietro ad un grosso masso. Lo seguo e lo vedo lì ad osservare la roccia al di là del guado, che è un canale in discesa dove l'acqua sarà profonda un metro ed accelera la sua corsa. La parete rocciosa non lascia possibilità di sperare. Anche trovando un punto stretto, l'altro lato della valle è un muro.
Traguardo verso nord il rivolo che ora, ingrossato e divenuto torrente,  scende nervosamente tra le "crode". Una ventina di metri piu' addentrato in valle, il corso d'acqua salta giu' di masso in masso. 
Una  cascata, così trasparente e fluida. Le scatto una foto cercando di catturarne l'anima, ma è buio e me ne rimarrà solo il ricordo. Vorrei essere dall'altra parte della valle e poter dire d'aver iniziato a risalire la Val Mer. Siamo a quota 270 e so che si dovrebbe arrivare a 1037 metri d'altitudine. 
Chissà quanto ci si impiega e chissà quante cose avrei visto? Nuove certamente poichè la montagna non è mai banale. 
Il tratto che scorgo nell'oscurità taglia alcuni dei tornanti originali che compongono il sentiero Rommel.
Si notano quì e là mucchietti di sassi ammassati l'uno sull'altro, ora abbracciati da muschio selvatico.
All'occhio attento non sfuggono e danno il senso della risalita dolce, che fini tracciatori pensarono all'inizio del ventesimo secolo, per dare una via di percorrenza a questa insenatura spersa negli antri infernali del canyon del Mondo Stret.
Ogni sentiero di montagna deve la sua vita al viandante e se quest'ultimo ha fastidio a calpestarlo, in pratica è complice della scomparsa di quel camminamento primordiale. Oggi saremmo dovuti essere d'aiuto alla novella vitalità del sentiero Rommel, ma invece...

VenanzioCorreAncora-capitolo33-

CAPITOLO 33

Il Rio piccolo

Foto di ArGo
Sul sottile strato bianco di neve rimasta, non posso non notare orme fresche di scarpone, ben marcate, il che mi fa pensare a qualche cacciatore di frodo oppure ad escursionisti con zaini sovraccarichi. Cataste di legname , non eccessivamente di grosse dimensioni. Probabilmente i proprietari hanno raccolto quel poco che la furia delle acque ha lasciato nei dintorni ed ora attendono di trovare un varco per tornare a caricarle.
Il primo tratto, che pensavo intriso dagli alberi, è ora praticamente a ridosso degli ultimi massi di confine, tra l'alveo del Calcino e il margine del sentiero o di ciò che ne rimane.
Spediti, proseguiamo! 

Ascolto l'aria che quasi impercettibile sibila tra orecchio e fascia di lana nera...Ho indossato la fascia al collo, quella che a vedermi vestito di verde marines, mi fa sembrare a distanza , davvero un soldatino. 
Lo sa il cielo qual brutto rapporto io abbia con quel mondo fatto di gerarchia pura. 
Eppure vesto spesso così, quasi fosse un atto di sfida personale che punti al contrasto forte tra l'apparire e l'essere.
Sono sulla irta che precede quello che io chiamo il "Rio piccolo" del "Mondo Stret".
Attendo l'accodarsi di tutti gli elementi. Tutti hanno superato il piccolo guado alla sorgente, laddove un piccolo acquedotto in cemento lascia sgorgare qualcosa che è piu' d'un rivolo, un piccolo torrentello, sul quale qualcuno avrà certamente posato le suole delle scarpe.
Non è il momento di pensare. Argo mi si avvicina ed a bassa voce mi dice:
< Il rumore che fa il Calcino non promette bene. Credo che al di là della rupe avremo una sorpresa >.