mercoledì 26 marzo 2014

VenanzioCorreAncora-capitolo45-

CAPITOLO 45

La dimora d'un pazzo

Foto di ArGo
Il fogliame sparso , lungo il viale silenzioso d'un bosco pulito. Alberi d'alto fusto e pini maestosi, facevano da commensali a quel nostro alimentarsi d'emozione vera. Sulla cima del pendio un piccolo di camoscio, che pareva esser solitario ospite della foresta prealpina, ma era guardato a vista da ben coperti genitori che in pochi balzi gli furono al fianco e con cenni o versi pressoche' silenti, diedero ordine di balzar via, oltra la cima. Che era triste, pensavo, esser scambiati per predatori, in virtu' d'appartenere ad una specie di cui mi sentivo parte avulsa. avrei voluto che m'attendessero, per dialogare, occhi negli occhi, senza proferir verbo alcuno.
La via si fece piu' ombrosa, tra le maglie d'una vegetazione piu' raggruppata.
Fu strano cedere i ruderi d'una casa, in quel luogo scordato dagli Dei e venne da chiedersi chi fu il pazzo o l'artista che volle dimorare quassu', tra i rami degli alberi e l'essenza della solitudine, percepita al solo odorar le flebili folate di un vento che vento non era, ma aria solitaria.
La via era pianeggiante, non mentiva l'uomo che era alla testa della fila stanca. di tanto in tanto il sentiero s'alzava su dolci tornanti , per poi prendere, comodo, lunghi tagli di crinale, che portavano , astuti, in falsi piani ben celati dal letto di fogliame scricchiolante, verso quella cima, oltre la quale avevo visto sparire quella famiglia di quadrupedi , agili e zompettanti.
Nel placido quadro che stavamo rendendo vivo, si sentiva l'odore umido dei muschi di corteccia ed in lontananza un cadenzato rintoccar di colpi.
Non era il boscaiolo che brandiva l'ascia ma lo scultore dei tronchi, colui al quale avevo lasciato un biscotto in dono.
Salutava il nostro passaggio, lavorando senza sosta , prendendo fiato di tanto in tanto , tra un beccar di legno ed un altro ancora.

Udivamo il faticar poetico del picchio. 

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