CAPITOLO 45
La dimora d'un pazzo
Foto di ArGo |
Il fogliame sparso , lungo
il viale silenzioso d'un bosco pulito. Alberi d'alto fusto e pini maestosi,
facevano da commensali a quel nostro alimentarsi d'emozione vera. Sulla cima
del pendio un piccolo di camoscio, che pareva esser solitario ospite della foresta
prealpina, ma era guardato a vista da ben coperti genitori che in pochi balzi
gli furono al fianco e con cenni o versi pressoche' silenti, diedero ordine di
balzar via, oltra la cima. Che era triste, pensavo, esser scambiati per
predatori, in virtu' d'appartenere ad una specie di cui mi sentivo parte
avulsa. avrei voluto che m'attendessero, per dialogare, occhi negli occhi,
senza proferir verbo alcuno.
La via si fece piu' ombrosa,
tra le maglie d'una vegetazione piu' raggruppata.
Fu strano cedere i ruderi
d'una casa, in quel luogo scordato dagli Dei e venne da chiedersi chi fu il
pazzo o l'artista che volle dimorare quassu', tra i rami degli alberi e
l'essenza della solitudine, percepita al solo odorar le flebili folate di un
vento che vento non era, ma aria solitaria.
La via era pianeggiante, non
mentiva l'uomo che era alla testa della fila stanca. di tanto in tanto il
sentiero s'alzava su dolci tornanti , per poi prendere, comodo, lunghi tagli di
crinale, che portavano , astuti, in falsi piani ben celati dal letto di
fogliame scricchiolante, verso quella cima, oltre la quale avevo visto sparire
quella famiglia di quadrupedi , agili e zompettanti.
Nel placido quadro che
stavamo rendendo vivo, si sentiva l'odore umido dei muschi di corteccia ed in
lontananza un cadenzato rintoccar di colpi.
Non era il boscaiolo che
brandiva l'ascia ma lo scultore dei tronchi, colui al quale avevo lasciato un
biscotto in dono.
Salutava il nostro
passaggio, lavorando senza sosta , prendendo fiato di tanto in tanto , tra un
beccar di legno ed un altro ancora.
Udivamo il faticar poetico
del picchio.
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