CAPITOLO 44
La tana del picchio
Foto di Placido Mondin |
Giacomo ne ascoltava le tesi senza parlare,
forse per rispetto all'impegno profuso nel condurci la', ma lo vedevo
arricciare a tratti, tra le frasi del racconto, l'ingobbito naso aquilino.
La Gian offriva del the caldo ed Assunta
qualche biscotto fatto in casa. a me tocco' quello con l'uvetta bruciacchiata e
senza farmi notare lo posai in un buco incavato nel tronco d'un abete in punto
di morte.
Il modesto filtrar della luce , condannava a
morte gli alberi piu' piccoli, destinati a soccombere ed a marcire in piedi.
Quel biscotto lo pensai donato a quel picchio
che Argo ci racconto' aver visto in zona, nell'inverno precedente, quando sali'
in solitaria seguendo l'orme della volpe, su di un sottile strato di neve in
dissolvimento.
Rifocillati ripartimmo. Ci disse che ora il
cammino sarebbe diventato piu' dolce e descrisse la poesia dei luoghi che di
li' a pochi minuti avremmo cominciato a calpestare ed accarezzare con lo
sguardo.
Qualche metro dopo essere ripartiti il
sentiero impenno' vorticosamente, traguardando un colle che dovevamo
raggiungere, a quanto parve.
Se la dolcezza della via da seguire ancora
era tale , quanto la premessa, allora quell'uomo cominciava a darmi sui nervi.
O era bugiardo oppure motivatore. Si guardo'
indietro e lesse la perplessita' negli occhi di piu' d'uno di noi. Allora
disse:
< Qui' e' irto, ma avanti, la fatica non
puo' esser peggiore dell'ozio >.
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