giovedì 26 dicembre 2013

VenanzioCorreAncora-capitolo19-

CAPITOLO 19

Castel Cesil 
Foto di Placido Mondin

Un cane. Prima che iniziassimo a scendere, venne a noi, un pastore a quattro zampe, affabile di carattere, affamato nel concreto.
Strano, a dire il vero ma non così tanto, giacchè di certo il padrone a quell'ora sarà stato a pranzo e conoscendo il luogo, sarà stato tranquillo, nel lasciar libera la bestia, autonoma sia nell'andar a cercarsi cibo che nel ritornare al capezzale di mandria o gregge. Mangiò qualche biscotto e poi scomparve nella nebbia, così come scomparimmo noi tra i muretti stretti dell'imbocco al sentiero sottostante la croce.
Ripido e curvilineo, il primo tratto sembrava un susseguirsi di trappole naturali. Gradini, umidità, sassi ben celati sotto uno strato poco spesso di terriccio.
Usciti dalla parte murata, un prato scosceso faceva da sede al sentiero, che scendeva melmoso e improvvisamente rettilineo.
Con i piedi di traverso e i bastoncini ben puntati , badavo a Bice che ostentava una sicurezza che ben presto le sarebbe costata un tonfo sordo , col sedere tra la melma...e per fortuna. Un sasso messo male le avrebbe fatto rischiare danni quasi certi alle ossa, pur ben coperte da uno strato di carne, della quale abbondava nelle pieghe tondeggianti delle terga. Lei ne rise e proseguì guascona e serena, come sempre.
Fummo rapidamente al terrapieno dentro al bosco, dove il sentiero si dirama. Noi seguimmo la croce in legno che indicava Castel Cesil, altro agglomerato labirintoide di trincee e resti di manufatti architettonici, riparati però nella boscaglia. Ora lo sono, cent'anni prima erano assolutamente esposti e primo baluardo  di quel colle da conquistare dai soldati.
Oltre i camminamenti un viale discende tra un filare di pini e a terra un tappeto d'aghi è una goduria. Ne fummo colpiti, quasi estasiati e lo superammo con prudenza, così come i successivi dieci minuti di traccia irregolare, sdrucciolevole, infima, confinata a destra da un filo spinato arrugginito.
Poi riprendemmo a correre con lo zaino sobbalzante, giacchè mezzo vuoto, giungendo presto ai prati sopra il Tomba. Tre colli, l'uno dopo l'altro. Betulle, cespugli d'erbe con bacche rosse ormai raggrinzite, una pozza d'abbeveramento e quel profumo d'erba selvatica che entrava grazie all'olfatto e permaneva grazie all'inebriante fragranza che il cervello catalogava con parsimonioso registrare.

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