CAPITOLO 12
L'ultimo strappetto , nel sottobosco, era praticamente
incavato nel terreno e risaliva in un doppio tornante tra i pini di vetta.
Fuori iniziava ad apparire la prima tenue luce dell'albeggiare.
Uscimmo dal bosco che era prima mattina e davanti a
noi si apriva un pendio inerbato con un recinto che circondava, ampio, una
malga arroccata sulla cima, duecento metri piu' su, a grandi linee.
Avevo letto in una guida cartografata che ci doveva
essere una apposita apertura nella recinzione, che consentiva di prendere la
via segnata della cima.
Seguimmo il recinto e, trovato il varco, sollevando il
filo spinato ci girammo in direzione est. Nella penombra ci si apri' innanzi
una tavolozza naturale alla cui base le cime della pineta sottostante facevano
da fondale ad una distesa di luci colorate che altro non erano che i paesi e le
citta' della piana triveneta e delle conche basso feltrine defilate sulla
sinistra. Semplicemente meraviglioso.
C'era qualcosa di fortemente romantico in quella
novella brezza mattutina che tagliente lambiva , arrosando le, le nostre parti scoperte.
L'irta prativa fini' presto,dopo una risalita
perpendicolare che ci condusse ad una strada inerbata.
In breve fummo al cancello della grande pozza di
abbeveramento, dopo essere saliti affiancando il ricovero bestiame, posto sotto
il terrapieno che accoglieva l'invaso d'acqua torbida e le due costruzioni
malghive, erette a sassi, una presumibilmente a scopo cucina e convivio e
l'altra come giaciglio per le notti dei malgari e pastori. Costruzioni tipiche
del Grappa, che nel mio immaginario parevano uscite dai film western di Sergio
Leone.
Eravamo a malga Barbeghera, tre chilometri oltre la
partenza e cinquecento metri di altitudine , piu' su, a quota 1305 , nei pressi
del Monte Palon che avremmo presto raggiunto.
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