mercoledì 11 dicembre 2013

VenanzioCorreAncora-capitolo12-

CAPITOLO 12

Malga Barbeghera


Foto di Placido Mondin


L'ultimo strappetto , nel sottobosco, era praticamente incavato nel terreno e risaliva in un doppio tornante tra i pini di vetta. Fuori iniziava ad apparire la prima tenue luce dell'albeggiare.
Uscimmo dal bosco che era prima mattina e davanti a noi si apriva un pendio inerbato con un recinto che circondava, ampio, una malga arroccata sulla cima, duecento metri piu' su, a grandi linee.
Avevo letto in una guida cartografata che ci doveva essere una apposita apertura nella recinzione, che consentiva di prendere la via segnata della cima.
Seguimmo il recinto e, trovato il varco, sollevando il filo spinato ci girammo in direzione est. Nella penombra ci si apri' innanzi una tavolozza naturale alla cui base le cime della pineta sottostante facevano da fondale ad una distesa di luci colorate che altro non erano che i paesi e le citta' della piana triveneta e delle conche basso feltrine defilate sulla sinistra. Semplicemente meraviglioso.
C'era qualcosa di fortemente romantico in quella novella brezza mattutina che tagliente lambiva , arrosando le, le nostre parti scoperte.
L'irta prativa fini' presto,dopo una risalita perpendicolare che ci condusse ad una strada inerbata.
In breve fummo al cancello della grande pozza di abbeveramento, dopo essere saliti affiancando il ricovero bestiame, posto sotto il terrapieno che accoglieva l'invaso d'acqua torbida e le due costruzioni malghive, erette a sassi, una presumibilmente a scopo cucina e convivio e l'altra come giaciglio per le notti dei malgari e pastori. Costruzioni tipiche del Grappa, che nel mio immaginario parevano uscite dai film western di Sergio Leone.

Eravamo a malga Barbeghera, tre chilometri oltre la partenza e cinquecento metri di altitudine , piu' su, a quota 1305 , nei pressi del Monte Palon che avremmo presto raggiunto.

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