giovedì 31 luglio 2014

VenanzioCorreAncora-capitolo51-

CAPITOLO 51

Tra Cavaso e Possagno

Foto di Moira Beppiani
Una pensilina sradicata e rami sparsi sulla carreggiata, confermavano il passaggio furioso delle arie della notte.
Nessun'auto , nessun rumore, solo il ticchettare regolare dei bastoncini.
Il Garmin iniziava a scandire i primi chilometri, uno ad uno , con un semplice bip.
Giacomo lo indossava ed era lui a saperlo usare e ad interessarsi della statistica, mentre io, piu' passavano gli anni, piu' diventavo scorbutico verso una tecnologia che un tempo assecondava i miei miglioramenti. Oggi invece , il tempo e' come lo svaso della clessidra. Lui passa ed io mi accodo.
Fummo presto al limitare della rampa di Cavaso e li' decidemmo di abbandonare l'asfalto e di salire in paese attraverso il camminamento in terra battuta che ondeggiava verso la chiesa, accompagnato al fianco da brevi staccionate e illuminato dal chiarore di piccoli fari rotondi.

rammento, sulla destra di aver osservato un colonnato ad arco , sulla rupe di sostegno alla strada veicolare, protetta dal tipico muro in sasso di chiara fattura progettuale di meta' secolo ventesimo.
L'ultima irta era un pò ripida ed in pratica, avremmo scoperto poi, che con quella variante avremmo perso un chilometro per strada.
Poco male...Si avanzava in direzione Possagno.
Usciti dal paese, dopo qualche variante pendente , ma in maniera lieve, fummo presto alla base di una zona prativa che precedeva il boschetto su cui, tra vari tornanti, correva la strada per il paese del Canova.
Una lepre scattante nel prato, andava a ripararsi sotto la catasta di fieno stagionato ed un gallo cantava in prossimità del mattino.
Alle cinque eravamo alla base del lungo viale inclinato che conduce al tempio.
La sua maestosa imponenza ci accompagnava dall'alto del nostro andargli incontro.

mercoledì 30 luglio 2014

VenanzioCorreAncora-capitolo50-


La fine non è scritta, la corsa continua.
GRAZIE A TUTTI
ArGo
CAPITOLO 50

" Ho detto che vengo anch'io "


Ho detto che vengo anch'io.
Non riesco a spiegare neppure ora che sto raccontando a distanza di tempo, quale sia l'emozione che si prova, partendo per una sfida che non sai se sei pronto a superare.
Ripercorrevo mentalmente i mesi della preparazione e mi tornava in testa anche quel giro invernale alla grotta in cima al monte, che forse era stato fondamentale per decidere di provare ad andare oltre.
Nei mesi precedenti, erano stati in tanti a domandare di poter accompagnarmi ma io, da subito, l'avevo percepita come una sfida personale, dentro alla quale sentirmi responsabile solo di me stesso e della mia consapevole pazzia.
Avevo detto no a tutti, uno dopo l'altra.
Poi si era proposto Giacomo ed anche a lui avevo detto di no, ma il lombardo era uno tosto e io me le ricordo ancora quelle parole ferme, convinte... irremovibile. < Ho detto che vengo anch'io. Fine della discussione >.
Era quel tono, quello giusto. Quella frase perentoria, che esprimeva la grande voglia di condividere il viaggio...Cosi lo voglio chiamare: viaggio.
La prima mezz'ora passo' rapidissima, lungo i paesini ancora bagnati dall'umido lasciato dal temporale.

Un forte vento ancora latente, aveva asciugato il fradicio accumulo d'acqua che sino ad un'ora prima aveva attraversato, in fronte compatto, l'intera piana, alle pendici del Monfenera.

martedì 29 luglio 2014

VenanzioCorreAncora-capitolo49-

CAPITOLO 49

In due, all'alba.

( I capitoli che seguono sono ispirati ed hanno una dedica speciale ad un mio compagno del viaggio piu' lungo e sentito, che abbia mai percorso a piedi, in un giorno. Un uomo leale e vero. Il mio amico Paolo).


L'alba sulla montagna. Foto di Placido Mondin

Comincio così, un pò per raccontare ed un pò per ricordare ciò che ieri è stato ed oggi si sente addosso nel fisico e nella mente.Siamo partiti in due, io , bolognese di Schievenin, cittadino di questa terra e Giacomo , pradense lombardo, mio concittadino, storico per natura e missione.Erano quasi le quattro e dopo il caffè bolente , nella cucina silenziosa, mentre tutto intorno era dormiente, caricato lo zaino in spalla, uscivo dalla porta ed andavo ad incontrare un amico fidato. Quattro ed otto minuti. Partenza in Piazza a Pederobba ,nell'alta trevigiana, nel buio del paese fermo, in una notte tormentata dal temporale forse in fuga. Una fotografia fugace che oggi la mia macchinetta fotografica, non so perchè, non mi voleva restituire, quasi a cancellare un momento che forse doveva rimanere nostro.Lontano ancora il rumore del temporale, i fulmini ed un non quieto dormire, ansioso , forse preoccupato , di certo emozionato di un paio d'ore a testa, ormai alle saplleNoi in fondo quella distanza non l'avevamo mai percorsa. Io da corridore ero arrivato alla maratona, Paolo ai trenta chilometri, forse... Con noi però, avevamo qualcosa di differente, due bastoncini, un paio di tecniche utilizzabili, la voglia di provare. Soli, con una certezza, quella di non andare incontro ad eroismi ma di voler incontrare, tra gli aliti di vento del monte sacro alla patria, i fiati di quegli eroi veri che lì hanno combattuto la piu' atroce delle guerre inutili. Qualche passo incerto : <Pioverà ancora?>. Io domandavo, lui guardava intorno e taceva. Io con la lampada frontale bianca e lui con la lampada rossa alla nuca. Sulla strada deserta, neppure il rumore del tempo, che pareva fermo, seppure in alto le grandi lancette del campanile si udivano muoversi, meccanizzate dagli ingranaggi e rese antiche dalla ruggine , su cui cigolavano i minuti.

domenica 27 luglio 2014

VenanzioCorreAncora-capitolo48-

CAPITOLO 48

Punta Zoc...nella testa il TransCivetta.

Foto di ArGo
Camminavamo sull'orlo del dirupo, il quale , in fondo non incuteva grosso timore. Era infatti irto e proiettato in caduta verso la valle, ma non rado di vegetazioni ed erbe che ne nascondevano le picchiate rocciose, perse allo sguardo.
Passammo al di la' della montagna , attraverso un varco aperto in mezzo a una grande roccia, prendendo ora una via piu' consueta, il sentiero che dal Masare', conduce a Spinoncia.
Curve strette ed un calar di dislivello, rapido e impegnativo, poiche' scivoloso su quel tappeto pendente, cosparso di fogliame secco.
In questa sorta di diario, scordero' volutamente quel pezzo d'avventura che porta ai piedi della rampa vertiginosa che conduce alla croce di Zoc, la punta piu' elevata dei promontori della terra delle medaglie d'oro.
Solo una citazione non puo' che meritare la mia attenzione. Il sentiero che uscendo dal bosco adombrato, incontra la luce ed il vuoto.
Pare davvero che quei pochi metri in lieve salita, ultimi, prima di trovarsi nella montagna aperta e panoramica, si gettino nell'immensita'.

Invece e' solo una curva, invisibile da dentro, occultata dal gioco di luci che solo il bosco, il sole ed i lumi del giorno, sanno dipingere e creare.
Dopo quella cengia dolce, il racconto si vuol fare frettoloso, rapido, con la volontà di andare oltre.
La val Mer ci aveva coccolato tra le braccia del suo mattino. Il Calcino ci aveva invitato ad aggirare il pericolo, poichè sapeva che oltre avremmo incontrato un'alba splendida. Il monte Madal ci aveva atteso per il pranzo, preparandoci quella sua irta per punta Zoc, dalla quale si vedeva il Piave, rallentando un passo faticoso, su una pendenza aspra.
Vidi tra le fronde dei radi cespugli d'albero montano che la nostra guida avanzava fuori dal sentiero...
Giacomo mi si rivolse dicendo : < Ora siamo pronti per il TransCivetta >.
E così fu...

VenanzioCorreAncora-capitolo47-

CAPITOLO 47

Tomba faraonica

Foto di ArGo
Assorto nei miei pensieri mi sedetti su di un sasso, approfittando per mandar giu' qualche sorso di caffe' tiepido, rimasto li' a depositarsi sul fondo del thermos d'alluminio.
Rumori di ghiaia che precipita a valle ed un fischio flebilmente creato dal vento, accompagnavano quegli istanti meditativi.
Poco piu' in la', la guida stava in piedi , ai margini della via e scattava foto, tacendo l'ammirazione che i suoi occhi dicevano, senza fiatare.
Io mi sentivo simile a quel ragazzo, in una sorta di gemellaggio umano anagraficamente distante ma emotivamente parallelo.
Spiavo senza farmi notare, quello sguardo un poco truce, ma malinconico, beffardamente camuffato di fierezza, eppure timidamente assorto nell'ammirare quell'immensita', fatta di vuoto davanti ai piedi e di enormita' stampata all'orizzonte prossimo.
Fontanasecca e le due gobbe , sue sorelle, si lasciava "taliare", come avrebbe detto il Montalbano di Camilleri, senza smuoversi minimamente, composto ed imponente nel suo somigliare ad un sepolcro regio.

Pensai che se non nel deserto, Tutankamen avrebbe scelto di dimorare eternamente nel ventre possente di quella montagna.
Il gruppo era pronto ad avanzare  sul limitar del dirupo, porgendo lo sguardo attento all'interno delle cavità scavate in roccia.
Un piccolo esempio di sentiero, del tutto simile al celebre "troi de le Meatte" e delle vie del Pasubio.
Qualche sintomo di vertigine, nei punti piu' stretti.
A che aveva olfatto allenato non sfuggì neppure l'odore selvatico della volpe che di quelle grotte aveva fatto il suo pertugio notturno.
Avanti a passo costante, lungo una via che a tratti si inerpicava, sfruttando tornanti scavati sul crinale, che erano quasi invisibili sentieri poco frequentati e forse destinati a soccombere al tempo, allo scordar facile dell'uomo, che cammina spesso luoghi facili e tralascia di percorrere la memoria.
Lassu' si era combattuta la piu' tragica delle guerre di logoramento.
Lassu', eroi giovani e silenziosi avevano lasciato un segno che noi ora potevamo ammirare.

VenanzioCorreAncora-capitolo46-

CAPITOLO 46

La coperta di Dio

Foto di Placido Mondin
Un'ora di cammino passata in fretta, tanto era stata serena da vivere e , in fin dei conti, defaticante.
Ora si faceva sempre piu' fremente l'attesa e la curiosita' di veder apparire la cengia che avrebbe aperto la vista sul Fontanasecca. Il sottobosco aveva ormai cambiato aspetto e di tanto in tanto iniziava a riproporre quei ciuffi d'erba ruvida, mentre il terreno si aggrappava sempre piu' a tratti in salita, ormai spesso ospitante sassi.
Qualche ginepro faceva intuire che si era vicini ormai a raggiungere spazi piu' luminosi ed i rari pini non erano altro che alberelli semi rinsecchiti, al limitar d'un bosco che pareva averli ripudiati.
Finalmente arrivammo allo scoperto, proprio sul limitare di un tornante esposto, s'era avvinghiato un albero di frassino, o almeno credo che lo fosse.
Qualcuno, dietro, s'era attardato per bisogni incontrollabili e ci fu quindi il tempo d'una sosta.
Tra i rami fini e fitti, come in una trama ad uncinetto, scorgevo un velato candore , adagiato su quell'enorme distesa inclinata e prativa che quel monte appuntito ospitava da secoli immemori.
Eccolo, splendido e luminoso, esteso e proteso verso il cielo.
Pareva che li' , il Dio che creo' il mondo, avesse gettato una coperta d'erba , terra e neve, su d'una piramide...

Rinsavendo, rispetto ad un idiota pensiero di religiosa attinenza, ricordai che gli Egizi, i Maya e gli Aztechi erano elementi del creato di quello stesso Dio che figuravo come creatore della terra e del cielo, signore e padrone delle umanita' presunte tali.